La scarsità delle fonti disponibili in Italia continua a costituire un limite oggettivo per la ricerca storica sul “Porrajmos”, licenziando in modo sommario quanto superficiale riletture assolutorie o revisionistiche degli eventi, tese a minimizzare anche in questo ambito il peso del fascismo sulla storia nazionale, le deportazioni, le stragi, il genocidio.
L’assenza, nel nostro Paese, negli che precedettero la guerra e poi durante il secondo conflitto mondiale, di una esplicita legislazione razziale relativa agli zingari, non deve trarre in inganno.
In realtà già gli scritti sugli zingari degli scienziati Renato Semizzi e Guido Landra, consulenti di Mussolini ed estensori delle Leggi Razziali, segnarono tra il 19308 e il 1940 una prima svolta significativ a e poi un cambio di rotta repentino nella politica del Regime.
Inoltre l’ampia discrezionalità nell’applicazione estensiva di alcune norme anti – ebraiche e il ricorso a disposizioni prefettizie in materia d’ordine pubblico, consentirono l’invio al confino e l’internamento nei campi di prigionia dei rom sul territorio nazionale o la deportazione verso i lager nazisti, segnando una continuità di sostanza con quanto di più cruento ed efferato andava avvenendo ad opera dei nazisti nei territori dell’Europa Orientale.
I Rom stranieri, insieme a saltibanchi e girovaghi, vennero a trovarsi nel mirino della polizia fascista già dal 1926, respinti oltre frontiera benchè provvisti di regolare passaporto.
Nel 1938, ebbero inizio nelle regioni del Nord Est vari rastrellamenti e deportazioni in massa di famiglie rom verso il meridione e le isole.
La repressione mostrò ben presto, dal 1941, in conseguenza dell’occupazione nazi fascista dei territori jugoslavi, il suo aspetto più cruento ad opera dei nazionalisti ustaca di di Ante Pavelic che, in più occasioni, tra il 1929 e il 1941, avevano trovato protezione e rifugio in Italia, per volere dello stesso Mussolini.
In seguito alle prime disposizioni d’internamento inviate dal Capo della Polizia di allora Arturo Bocchini ai Prefetti del Regno e al Questore di Roma non Circolare dell’11 settembre 1940, zingari stranieri e italiani furono arrestati e trasferiti nei campi provinciali allestiti dal Ministero dell’Interno a Bolzano, Berra, Boiano, Agnone, Tossicìa, Ferramonti, Vinchiaturo e nelle isole, tra cui la Sardegna, la Sicilia e le Tremiti, in regime di internamento libero, in cui i Rom si dispersero, sprovvisti di ogni mezzo di sussistenza.
Nel 1941, con Circolare 27 Aprile, il Ministero emise quindi un ordine esplicito finalizzato all’internamento degli zingari italiani, che andarono ad aggiungersi, in molti casi in luoghi destinati esclusivamente a loro, agli oltre 50 campi destinati all’internamento civile.
Ad Agnone, nei pressi di Campobasso, vennero così a trovarsi zingari jugoslavi a cui si aggiunsero dal luglio ’41 58 rom provenienti dal campo di Boiano (rinchiusi nei quattro capannoni di un ex tabacchificio), in condizione di estrema indigenza e di pessima igiene.
A Tossicìa vennero rinchiusi 118 rom provenienti dalla Slovenia, che troveranno scampo con la fuga, dopo l’8 settembre del 1943, unendosi in Emilia, Liguria e Piemonte, anche alle milizie partigiane, nelle cui fila combatterono alcuni rom e sinti insigniti della medaglia d’oro per la Resistenza.
I documenti disponibili non possono raccontare tutto, specie quando sono trascritti solo da altri, o perché trascurano la dimensione orale e sociale delle testimonianze raccolte tra i sopravvissuti, che ci portano a riflettere su una condizione dei Rom molto più critica e pericolosa, conseguenza dell’adesione del Regime ad una più ampia politica razziale estesa anche agli zingari.
Tranne che in studi più recenti, “la memoria custodita nelle comunità Rom” è stata di fatto ignorata, tralasciando di indagare i racconti dei perseguitati e di incrociarli con i dati riscontrabili negli archivi statali, comunali, delle questure e dei giornali dell’epoca, rimuovendo e tacendo un vuoto storico e una forte responsabilità sociale.
I piani di sterminio del popolo Rom vennero attuati non solo nei territori annessi dal dominio nazista ma anche dai Governi collaborazionisti, in particolare in Romania e Jugoslavia, che furono, con la Polonia, tra i principali teatri di questa efferata persecuzione.
Molto si è scritto sul “campo zingari per famiglie”, il famigerato zigeunerlager di Auschwitz – Birkenau e sugli esperimenti condotti su cavie umane dal Dott. Mengele e dai suoi collaboratori, i cui crimini sono rimasti largamente impuniti.
Poco o nulla si conosce della tragedia del campo di Jasenovac, in Croazia, attivo dal novembre ‘41 al 25 Aprile ’45 in Croazia, nella regione di Lonja, presso la linea ferroviaria Zagabria – Belgrado, che rappresenta l’altro luogo simbolo dei crimini commessi contro il popolo rom dagli Ustasa collaborazionisti (i fascisti croati).
La persecuzione dei rom e sinti in territorio croato è già attiva nel luglio ’41, prima con la schedatura delle famiglie ad opera dei comuni, delle polizie locali e delle prefetture, poi con i primi trasporti (29 aprile ’41 da Zagabria – 300 persone) e nel ’42 la deportazione verso i luoghi d’internamento diventa di massa.
Jasenovac, istituito sotto il nome di “comando dei campi di raccolta e di lavoro”, prevedeva la gestione di 5 sottocampi: uno di questi, Stara Gradisca, denominato il “mattonificio”, per lungo tempo rappresentò la parte più spietata dell’internamento in quanto “campo della morte principale”, destinato alla liquidazione di persone pericolose e sgradite per l’ordine pubblico e la sicurezza: ebrei, serbi, antifascisti croati ma soprattutto zingari.
Il numero delle vittime di Jasenovac, stimato dalla Commissione di Stato dell’ex Jugoslavia si attesta tra le 600 e le 800.000 unità, una cifra non precisa in quanto già nell’Aprile del ’45 gli ustascia avevano eliminato quasi ogni traccia dei loro crimini, distruggendo elenchi di vittime, riesumando cadaveri per bruciarli e distruggendo gli edifici del campo.
In Serbia l’armata tedesca della Wehrmacht perseguitò ed uccise in modo sistematico la popolazione Rom.
Non c’è dunque modo di conoscere l’esatto numero di quanti morirono nel complesso nei campi di concentramento, o di fame e di freddo in tutta Europa.
Interi gruppi sparirono da zone di antico insediamento, come l’Olanda, insieme alla generazione degli anziani, depositari del sapere e delle tradizioni.
Non solo i limiti della precisione statistica e lo stato di guerra generalizzato, ma la stessa struttura sociale dei gruppi e il loro prudente “mimetismo”, che rendeva parziale il censimento anagrafico dei nuclei familiari, la forte dispersione territoriale, le sommarie registrazioni degli internati e la distruzione dei documenti rendono arduo il compito.
I fatti che col trascorrere del tempo sono stati resi noti dalle testimonianze e dai documenti ritrovati, hanno riproposto la comparazione di un destino comune tra ebrei e zingari: che cioè quest’ultimi, fatte salve le distinzioni, siano stati perseguitati al pari dei primi, in quanto biologicamente esistenti e non come sostenuto fin nell’immediato dopoguerra, per la loro presunta asocialità.
Senza contate che anche per Sinti e Rom vale ciò che qualcuno ha sostenuto, ovvero: “non è forse verosimile il ritrovamento di un ordine scritto da Hitler circa lo sterminio degli ebrei europei… quanto maggiore è il crimine, tanto minore è la possibilità che se ne trovino prove scritte al livello più alto di un Governo…”.
Oblìo degli eventi e obbligo morale di dichiararsi a favore della memoria scadono, oggigiorno, talvolta, nel pericolo di un facile conformismo, una banalizzazione del male tale da esorcizzare e liquidare la questione della colpa e delle responsabilità che rimangono in molti casi ancora aperte.
A più di 60 anni dalla liberazione da Auschwitz, occorrerebbe che la società tutta si interrogasse sulle vicende di quel passato e al rapporto tra i popoli europei e quello zingaro, e su quanto insidiosamente le ideologie di ieri si nascondino in molte critiche e pregiudizi dell’oggi.
Maurizio Pagani
Giorgio Bezzecchi
Fonte: http://www.operanomadimilano.org/viaggio/viaggioterza/porrajmos.htm