Virgili Rosanna, A bordo dell’Aquarius c’è anche Paolo di Tarso

Il Cardinal Bassetti qualche giorno fa a Roma ha chiesto espressamente ai cattolici di non aver paura di occuparsi di politica, anzi, di impegnarsi con sentimenti di carità e con spirito di servizio in questo compito moralmente ineludibile per loro. Mi auguro che questo invito trovi una corrispondenza, sia attraverso un contributo di parole e riflessioni, sia di azioni/gesti e decisioni concrete.

Una grande eredità: la Parola

La politica – con la P maiuscola, di cui molto spesso ha parlato e parla Papa Francesco – è fatta di amore e passione, relazioni, discussioni, scelte a favore del bene di tutti in un Paese; per questo la sua prima vocazione è quella di occuparsi dei più deboli e degli esclusi nell’ansia di riammetterli nell’assemblea dei cittadini liberi. Un’opera che chiede un vigilare assiduo a quanto accade e muta, vissuto con sapienza e fiducia.

Per far ciò i cristiani hanno un grande vantaggio: l’eredità della storia e della Parola. Qualcosa che può essere paragonato a quanto, per gli antichi romani, rappresentava il mos maiorum, vale a dire la “tradizione degli antenati”. Ad esso si saldava, infatti, la loro stabilità politica ed era condizionato il successo nel futuro prossimo e remoto.

Similmente per i cattolici la Scrittura, il Vangelo, insieme alla tradizione dei Padri, alla dottrina e al mare magnum della testimonianza che santi, donne e uomini, le hanno donato con estrema abbondanza, costituiscono un valore immenso da non lasciare senza investimento.

Saper cogliere l’occasione politica opportuna

Anche in politica, infatti, ogni giorno è un kairòs, un tempo buono per tirar fuori “cose nuove e cose antiche”. E lo ha fatto il Cardinal Ravasi twittando un versetto del discorso escatologico di Gesù nel Vangelo di Matteo : “Ero straniero e non mi avete accolto”, intervenendo sulle decisioni dei nostri governanti in merito ad Aquarius. Per questo noi cristiani italiani vorremmo ringraziarlo, perché ha condiviso la perla luminosa della Parola nell’occasione politica opportuna. Questo è politica, vale a dire la carità intelligente che feconda l’opera della politica.

Quando il ministro degli Interni gli risponde dicendo che lui porta sempre con sé il rosario e tiene in tasca il Vangelo, mentre decide di rifiutare – al di là dei motivi più o meno legittimi che adduce – lo sbarco di una nave piena di migranti senza nome né documenti, il cuore del cristiano non può non riscuotersi e sentire un contrasto, un conflitto, un controcanto.

Se quei cristiani che ascoltano tutte le domeniche il Vangelo in Chiesa non avvertono una contraddizione polare, uno stridore tra le parole di Gesù e degli Apostoli e quelle di Salvini, vuol dire che sia le prime sia le seconde passano in superficie, non vengono prese sul serio. Che al contenuto effettivo del Vangelo non si pensa nemmeno, ma non si fa troppa attenzione neppure alle parole del Ministro. Quella che viene smascherata è, piuttosto, una reazione d’istinto, un urlo viscerale, che nasce dalla paura e dalla pigrizia mentale di tanti – come noi! – buoni cattolici.

Migranti: un tema biblico

Il tema dei migranti è, infatti, centrale a tutta la nostra Bibbia. Abramo era un migrante, Mosè era un migrante, Paolo di Tarso fu il più grande “migrante” del Nuovo Testamento. Ed anche Pietro – nato e fatto uomo a Cafarnao – venne a morire a Roma. Sarebbe prezioso per i cattolici che oggi vogliano acconsentire alla richiesta del Presidente dei Vescovi italiani, rileggere, innanzitutto, gli Atti degli Apostoli. Ed accorgersi come, sin dalla prima pagina gli apostoli fossero chiamati ad uscire dalla provincia per raggiungere “i confini della terra” a portare la “gioia del Vangelo” (cf. At 1,8).

Il cristianesimo è una fede universale; esso raccoglie l’idea di ecumène che già si era sviluppata ampiamente nel bacino del Mediterraneo e la estende oltre ogni limite e confine (di luogo, di lingua, di cultura, di religione), insegnandola anche – in futuro – ai popoli “lontani”, cominciando da quelli del Nord….

Son cose che sappiamo.

Sulla rotta dell’ultimo viaggio di Paolo

Ma la fotografia di quanto accade oggi con Aquarius, o con le altre navi che sono state – e saranno anche domani! – in moto nel Mediterraneo è già “postata” negli ultimi capitoli degli Atti degli Apostoli (capitoli 27-28). Se non fossero Sacra Scrittura, sembrerebbero pagine dei giornali di oggi!

Ci sono navi che partono dalle coste del Vicino Oriente, della Siria, dall’antica Fenicia, che si incrociano e si scambiano i passeggeri, perché possano portare a termine il loro fortunoso viaggio e il loro sogno. Si tratta di persone di ogni provenienza e condizione sociale: commercianti e prigionieri, gente in custodia cautelare – come Paolo stesso! – e gente alla ricerca di una vita migliore (cf. Atti 27  ).

L’ultimo viaggio dell’Apostolo Paolo può davvero dare immagine ed anima ai mille viaggi di tanti migranti che oggi arrivano sul Canale di Sicilia.

Colpisce l’identità dei mari, delle isole e delle città di porto e colpisce il modo in cui i naviganti giunsero sulle rive dell’isola di Malta: chi a nuoto, chi attaccati ai resti della nave distrutta dalla tempesta, che avevano trasformato in zattere. E per fortuna che i Maltesi piuttosto che respingerli, o chiedere loro i documenti, innanzitutto “li accolsero con rara umanità”, accendendo persino un fuoco per farli riscaldare (cf At 28,1ss.).

Solo più tardi i Maltesi si cureranno di conoscere chi fosse quella gente (e se avesse, o meno, il diritto di asilo…).

La via del Vangelo

Fu passando proprio nei porti del Sud, che tutti erano aperti, che il Vangelo raggiunse la nostra Italia, attraverso il grande Apostolo. Se a Malta si fossero rifiutati di accogliere i naufraghi stranieri, il Vangelo non sarebbe giunto sino a loro e sino a noi. Se a Siracusa il porto fosse stato chiuso, Paolo non avrebbe, ugualmente, potuto procedere. E tanto vale per Reggio, per Pozzuoli e per il porto di Roma.

Se al tempo di Paolo a Malta e in Italia ci fossero stati ministri degli Interni come Salvini, Salvini stesso, oggi, non potrebbe portare in tasca un Vangelo… Io penso che lui lo debba sapere, ma, soprattutto, che dobbiamo saperlo noi cristiani d’Italia, dobbiamo conoscere “dove” siamo nati e chi ci ha “generati” alla fede!

Furono ospiti del Sud, anime del Mediterraneo.

Al tempo di Paolo anche Roma, in piena espansione imperiale, cercava di difendersi dagli “stranieri”. Sempre in Atti si menziona l’editto di Claudio, una legge che stabiliva l’espulsione degli Ebrei dall’Urbe (cf. At 18,2). Siccome quegli stranieri diventavano sempre più numerosi e reclamavano i loro diritti civili, Roma provò ad espellerli. Ma il corso delle cose è sinuoso… e dopo pochi anni vediamo che un altro ebreo – Paolo appunto – sbarca nella Capitale dell’Impero.

Impossibile fermare i corsi della storia, la storia ci insegna.

Lì rimarrà due anni in un monolocale preso in affitto, perché, evidentemente, anche i diritti dei prigionieri erano consentiti e rispettati. E proprio in quel piccolo appartamento – che apparteneva forse al demanio imperiale, oggi diremmo al Comune di Roma! – Paolo “evangelizzava” (cf 28,30). (A proposito, ma è vero che in Italia ci sono quattro milioni di appartamenti vuoti???).

Un’ultima nota curiosa: il grande desiderio dell’Apostolo delle genti era quello, dopo aver visitato Roma, di raggiungere la Spagna, come attestato nella Lettera ai Romani (cf Rm 15,24). Per una strana ironia della sorte se oggi si trovasse sulla nave Aquarius raggiungerebbe prima la sua ultima meta senza – chissà! – poter vedere mai l’eterna Roma.

Rosanna Virgili
Biblista, docente di Esegesi presso l’Istituto Teologico Marchigiano (aggregato alla Pontificia Università Lateranense)

 

Fonte: https://www.viandanti.org/sito/?p=18024

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