11 febbraio 2013
Ho appreso da un’edizione di un giornale on line del gesto di papa Benedetto XVI. Come tutti sono rimasto stupito e incredulo. Leggendo le motivazioni ho anzitutto pensato alla sofferenza di un uomo, alla sua fragilità. Credo pure che con la sua scelta abbia restituito un’immagine del papato più vera, oserei dire umana, ripulita di tanta retorica trionfalistica che alla fine la svuotava del significato cristiano. Penso a quanto Paolo scriveva alla comunità di Corinto:
27 Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti,28 Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono
1 Cor 1,27-28
perché è veramente contro corrente oggi mostrarsi fragili e deboli in una società fatta di apparenze e maschere, di uomini sempre sicuri e forti.
Mi sono riletto pure alcuni passi di Ignazio Silone tratti dalla sua opera teatrale “L’avventura di un povero cristiano“. Non voglio sostenere un parallelo tra i due pontificati, Benedetto XVI e Celestino V, storicamente insostenibile, ma rileggere alcune suggestioni e riflessioni provocato dall’annuncio di oggi.
Miei fratelli in Cristo, voi conoscete già il motivo della convocazione di questo concistoro straordinario. Non ho dunque bisogno di esordio e dirò lo strettamente necessario. Sappiate pertanto che tacerò sul fondo della questione, su quello che penso cioè della situazione della Chiesa nel mondo d’oggi, poiché non è questione che si possa risolvere oggi, né io ho avuto manco la possibilità di affrontarla, né voi siete in grado di risolverla, né vedo chi altro, tra gli uomini d’oggi, lo possa. Vi parlerò quindi solo di me e dell’atto che sto per compiere e vi prego di ascoltarmi
in silenzio, di risparmiarmi interruzioni, domande, commenti, proteste e suppliche. Almeno in questo ultimo incontro cerchiamo di essere fra noi
caritatevoli e leali. […]Ascoltate: “Io Celestino, mosso da ragioni legittime, per bisogno di umiltà, di perfezionamento morale, e per obbligo di coscienza, come pure per indebolimento fisico, per difetto di dottrina e per la cattiveria del mondo; al fine di ricuperare la pace e le consolazioni del mio precedente modo di vivere, con tutto l’animo e liberamente mi dimetto dal Pontificato, espressamente fo rinunzia del seggio, della dignità, del peso e dell’onore, dando da questo istante piena e libera facoltà al Sacro Collegio dei cardinali di scegliere e provvedere, per via canonica, di nuovo Pastore la Chiesa universale”. […]
Sento il bisogno di parlarvi come in confessione, spogliandomi d’ogni amor proprio. La mia anima è dilaniata dai rimorsi. Voi ne conoscete l’origine. Perché accettai quella carica? Perché consentii che venisse gonfiato oltre misura il significato della mia elezione? Perché ingannai tanti buoni cristiani, cominciando da voi, figli miei cari, lasciandovi credere che esistessero le condizioni per un rinnovamento integrale della vita della Chiesa? Perché non capii che, a parte il resto, le mie energie sarebbero state insufficienti anche per un semplice pontificato d’ordinaria amministrazione? (Alcuni dei presenti accennano a interrompere l’acerba confessione) No, lasciatemi dire. C’è un solo argomento capace d’attenuare la mia colpevolezza: la mia incoscienza. Di tanti gravissimi peccati e aberrazioni, mi sono reso conto solo in ritardo e lentamente. A dire tutta la verità, sento di non essere ancora alla fine del mio esame di coscienza e prego Iddio di lasciarmi in vita almeno il tempo necessario per portarlo a termine. (Pausa) Affrontai l’avventura come un asino bendato. Vi assicuro che non è un paragone esagerato. Volete sapere quale fosse la mia maggiore preoccupazione nei giorni dell’accettazione? La mia ignoranza liturgica. Come me la caverò, mi chiedevo, nelle grandi funzioni pontificali delle basiliche romane? Quale stoltezza. Sì, anche quella, s’intende, era una difficoltà, tuttavia una inezia di fronte alle altre. (Pausa) Per le questioni serie, credetti di fare il furbo. Non c’è nulla di più ridicolo d’un sempliciotto che crede di poter fare il furbo. Così pensai di servirmi del re “a fin di bene”. Il maledetto “a fin di bene”. Figli miei, non lo dimenticate: c’è solo il bene, puro e semplice; non c’è “a fin di bene”. (Pausa) Ora mi vergogno di tutto quello che feci a fin di bene, ad esempio, le astuzie per impadronirmi del monastero benedettino di Cassino. E di altre cose, di molte altre cose del genere. Ero veramente stupido. (Pausa) Servirsi del potere? Che perniciosa illusione. È il potere che si serve di noi. Il potere è un cavallo difficile a guidare; va dove deve andare, o meglio, va dove può andare o dov’è naturale che vada. Non puoi chiedere al cavallo di volare: se non vola, non gliene puoi far torto. Tu devi contentarti della soddisfazione di stare in alto. Lo stesso si può dire della curia di Roma: essa è quello che è. (Pausa) L’aspirazione a comandare, l’ossessione del potere è, a tutti i livelli, una forma di pazzia. Mangia l’anima, la stravolge, la rende falsa. Anche se si aspira al potere “a fin di bene”. soprattutto se si aspira al potere “a fin di bene”. La tentazione del potere è la più diabolica che possa essere tesa all’uomo, se Satana osò proporla perfino a Cristo. Con lui non riuscì, ma riesce con i suoi vicari. È una tentazione più perfida di quella dei sensi. Infatti vi soccombono anche molti uomini casti. (Pausa) Tutto sommato, la mia è stata una triste avventura, il tempo più penoso della mia vita. All’inizio mi sentivo come preso in un vortice. In seguito cominciò il supplizio: dovevo fare gesti che non volevo, dire parole che non pensavo, firmare documenti che non capivo, redatti da altri secondo i loro comodi privati, circolavano bolle recanti la mia firma e che io non avevo firmato. Rubavano più o meno tutti, anche quelli che venivano a denunziarmi i furti degli altri. (Pausa) Vivevo a corte, come qui, alla maniera d’un mendicante; ma a che serviva? A far ridere i monsignori. […]
Vi dirò in tutta semplicità quello che ne penso. Può esistere un’opposizione tra la vita di un’anima seriamente cristiana e l’attesa del Regno di Dio? Non mi pare. A me sembra che l’anima cristiana, la quale aspiri intensamente al Regno di Dio, si conforma a immagine di esso e vi adegua il suo comportamento, a cominciare dalle relazioni col prossimo. Non è un gioco di parole affermare che essa realizza, sia pure in misura minima, il Regno. Rimane senza dubbio il contrasto dell’anima con le istituzioni e le leggi esistenti. Quando e come il Regno sarà instaurato con la partecipazione libera di tutte le altre creature? Quando e come la carità sostituirà le leggi? Nessuno può saperlo, ma non dev’essere un incoraggiamento alla nostra pigrizia. Poiché i cristiani che, fin da oggi, vivono coraggiosamente secondo quello spirito, in realtà lo anticipano. E nella nostra preghiera quotidiana rimane l’invocazione: «Venga il tuo Regno».
Commenti al gesto di Benedetto XVI
- Il miracolo del nulla alle spalle
di BARBARA SPINELLI - Benedetto XVI, ora più che mai è il successore di Pietro
ENZO BIANCHI - “I due pontefici in Vaticano”
di Vito Mancuso, La Repubblica 12 Febbraio 2013 - Mancuso: ”Discorso Papa, atto d’accusa al carrierismo”
Vito Mancuso analizza le parole di Benedetto XVI come “tipicamente ratzingeriane”. La citazione delle tentazioni di Cristo nel deserto – spiega il teologo – alludono a una concezione del cristianesimo come sofferenza lontana dal potere del mondo. Un problema che il Pontefice ha conosciuto innanzitutto nella Chiesa e che per molti potrebbe avere contribuito al suo ritiro.
Cosa dice il Codice di Diritto Canonico?
Can. 332 §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.