«È nell’immobilità che risiede un potere meraviglioso di chiarezza, purificazione e raccoglimento sulle cose essenziali»
Dietrich Bonhoeffer
In una società post-secolare, Bauman direbbe “liquida”, si fa largo la ricerca di luoghi nei quali potersi ritrovare anzitutto con se stessi. Mentre siamo continuamente immersi nel rumore e nel “chiacchiericcio” nasce l’esigenza di uno spazio di silenzio.
Una risposta a queste esigenze sono le cosiddette “architetture del silenzio“, spazi “no-denominal“, aperti a chiunque, non identitarie, dove rilassarsi, meditare, sostare in quiete oppure mettersi alla ricerca del trascendente, riassaporare la “nostalgia del totalmente Altro” (Horkheimer). Ognuno trova la sua dimensione, a nessuno è chiesto nulla. Sono il tentativo di risposta al bisogno di uomini e donne contemporanee e non necessariamente alternativi o in contrapposizione a luoghi del sacro tradizionali e identitari. Presento alcuni esempi che spero chiariscano quanto detto.
Bibliografia utilizzata
- Silenzio nella porta di Brandeburgo.
- Dag Hammarskjöld, Tracce di cammino, Qiqajon, Magnano 2005.
- Alessandro Carrera, Il colore del buio, ed. Il Mulino, Bologna, 2019, p.59-83.
- Meditation Room.
- Dumia-Sakina: Centro Spirituale Pluralistico.
- Luigi Territo, Architetture del silenzio e postsecolarismo, Civiltà Cattolica, Quaderno 4034, pag. 188 – 194, Anno 2018, Volume III, 21 Luglio 2018.
- Dan Howarth, The Silence Room at Selfridges by Alex Cochrane Architects, 19 January 2013.