Vorrei proporre alla riflessione questo brano tratto da un libro che ho letto tempo fa: “Kristeva Julia, Bisogno di credere, Donzelli Editore, Roma, 2006, p.134-136” inerente alla sofferenza di Gesù.
È solamente alla natura umana che Gesù si rivolge con la sua sofferenza? Figlio di Dio, ma che si lascia annientare, non annulla forse anche il divino? I dibattiti teologici lasciano la questione aperta. È possibile riprenderla oggi? La sofferenza fino alla morte, individuata da San Paolo, indica l’esperienza dei limiti, dello svilimento, dell’umiliazione, dell’inedia fatta dal Cristo. Resta la domanda: la sofferenza fino alla morte è dovuta solo all’uomo del Cristo, o colpisce la natura della sua stessa divinità? E quindi della Divinità? Dopo la Cena e giusto prima della Passione, il Cristo non dice forse a Filippo: «Chi ha visto me ha visto il Padre»1? I protestanti e gli ortodossi riservano a quanto pare più attenzione a questa «discesa del Padre nelle parti più basse della terra»2, designate dalla lingua greca con il sostantivo kénose, che ha molto segnato la mia infanzia e che significa «non essere», «nulla», «inanità», «nullità»; ma anche «insensato», «ingannatore» (l’aggettivo kénos significa «vuoto», «inutile», «vano»; il verbo kénein «purgare», «tagliare», «annientare»).
Ammettere l’inanità dell’umano non equivale a lasciare indenne il divino, se è vero che «colui che discese è lo stesso che anche ascese»3, e che è l’immagine consustanziale di Dio: «tutte le cose sono state create per messo di lui e in vista di lui»4 Ecco perché dico che anche dio è in «sofferenza» nella sofferenza di Cristo, e che questo scandalo, che la teologia esita ad affrontare, prefigura i tempi moderni messi a confronto con la «morte di Dio». «Dio è morto, anche Dio è morto» è una rappresentazione prodigiosa, terribile, «che presenta alla rappresentazione l’abisso più profondo della scissione»5.
Ma che potere terapeutico, anche! Che prodigiosa restaurazione della capacità di pensare e desiderare in questa rude esplorazione del soffrire fino a perdere lo spirito insieme con il corpo, del soffrire fino alla morte! Ecco perchè persino il Padre e lo Spirito sono mortali, annullati dall’intermediazione dell’Uomo di dolore, il quale pensa, nella sua sofferenza fino alla morte, che essi possano rinascere. Il pensiero può ricominciare: è forse l’ultima forma della libertà che annuncia così il soffrire cristiano? Nietzsche non ha mancato di rendersi conto che questo lasciar-andare alla kénose dà alla morte umana e divina sulla croce «la libertà, il sovrano distacco,/ che pone la sofferenza / al di sopra di ogni risentimento»6. Infatti, l ‘interruzione, anche se momentanea, del legame che unisce il Cristo a suo padre e alla vita, questa cesura, questo «iato»7 offre non solamente un’immagine, ma un racconto a certi cataclismi psichici che fanno la posta al presunto equilibrio di ogni individuo; e, di conseguenza, li cura. Siamo tutti e ciascuno di noi il risultato di un lungo «lavoro del negativo»: nascita, svezzamento, separazione, frustrazione. Per aver messo in scena questa frattura nel cuore stesso del soggetto assoluto che è il Cristo, per averlo presentato con l’immagine di una Passione, come il rovescio solidale della risurrezione, il cristianesimo riporta alla coscienza i drammi essenziali interni al divenire di ciascuno. Attribuisce quindi a se stesso un immenso potere catartico… inconscio.
Note
1 Vangelo di Giovanni, XIV, 7-12 [la citazione corrisponde al versetto 9].
2 Paolo, Lettera agli Efesini, IV, 9.
3 Ibid., 10.
4 Lettera ai Colossesi, 16.
5 H. G. W. Hegel, Vorlesungen uber die Philosophie der Religion, III (trad. it. Lezioni sulla filosofia della religione, Zanichelli, Bologna 1973-74).
6 F. Nietzsche, Der Anthichrist. Versuch einer Kritik des Christentum, p. 40 (trad. it. L’anticristo. Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1993, p. 40
7 Urs von Balthasar.
Libri di Julia Kristeva
Julia Kristeva, nata in Bulgaria, vive e lavora in Francia dal 1966. Saggista e psicoanalista, è professoressa emerita all’Université Paris-VII Diderot e membro della Società psicoanalitica di Parigi. È professoressa honoris causa nelle numerose università del mondo in cui ha insegnato. Ha aderito al gruppo di «Tel Quel», aprendo il proprio lavoro di analisi delle opere letterarie alle sollecitazioni della semiotica, della psicoanalisi, del marxismo e della filosofia derridiana (→ Derrida): Semeiotik. Ricerche per una semanalisi (Semeiotiké, recherches pour une sémanalyse, 1969), La rivoluzione del linguaggio poetico (La révolution du langage poétique, 1974), La traversata dei segni (La traversée des signes, 1975). Negli anni successivi i suoi interessi si sono rivolti prevalentemente alla psicoanalisi: Storie d’amore (Histoires d’amour, 1983), In principio era l’amore: psicanalisi e fede (Au commencement était l’amour: psychanalyse et foi, 1985), Sole nero. Depressione e melanconia (Soleil noir. Dépression et mélancolie, 1987). Una importante trilogia è dedicata al genio femminile: Hanna Arendt. La vita, le parole (Le génie féminin. Hannah Arendt, 1999), Melanie Klein: la madre, la follia (Le génie féminin. Melanie Klein, 2000), Colette. Vita di una donna (Le génie féminin. Colette, 2002). Tra le altre opere recenti si segnalano Il rischio del pensare (Au risque de la pensée, 2001), Il bisogno di credere (Cet incroyable besoin de croire, 2007), Il loro sguardo buca le nostre ombre (Leur regarde perce nos ombres, 2011), Stranieri a noi stessi (2014); Del matrimonio considerato come un’arte (con Philippe Sollers, 2015); La vita, altrove (2017), Simone de Beauvoir. La rivoluzione del femminile (2018). La K. è autrice anche di romanzi: I Samurai (Les Samouraïs, 1990), La donna decapitata (Possessions, 1996).