La paura dei barbari e il problema dell’”altro”: ricordando il contributo di Tzvetan Todorov all’elaborazione del pensiero europeo contemporaneo.
Dopo la scomparsa di Bauman nel gennaio 2017, il panorama culturale europeo ha perso un altro grande pensatore: Tzvetan Todorov, intellettuale di fama mondiale, autore di oltre 35 opere e migliaia di articoli tradotti in molte lingue. Lo scrittore è infatti deceduto a Parigi, dopo lunga malattia, il 7 febbraio di questo stesso anno: avrebbe compiuto in marzo 78 anni. Di origine bulgare, esule in Francia dall’età di 24 anni, alunno di Roland Barthes, diviene ben presto una delle più autorevoli voci nel campo degli studi di filosofia del linguaggio – disciplina di cui fu poi anche docente all’Università di Yale – e come tale è ben noto agli studiosi delle scuole strutturaliste e formaliste degli anni Sessanta-Settanta. Per gli “addetti ai lavori” è ancora oggi punto di riferimento imprescindibile per gli studi su M. Bachtin e l’indagine sul linguaggio letterario: celebri sono i suoi saggi I formalisti russi, Teorie del simbolo, I generi del discorso. Fonda con G. Genette la rivista di analisi letteraria Poétique ed esce nel ’70 la sua monografia dal titolo “La letteratura fantastica”, ancora oggi una pietra miliare per l’approccio al concetto di “fantastico”, ossia”l’esitazione provata da un essere che conosce solo le leggi naturali davanti ad un evento apparentemente sovrannaturale”.
A partire dagli anni ’80, però, Todorov ripensa il ruolo della ricerca culturale, orientando i propri studi a campi più estesi nell’ambito delle Scienze Sociali: la storia delle idee, l’antropologia culturale, la riflessione filosofica e psicosociologica. Una sua definizione può inquadrare questa “svolta”: “Che cos’è un intellettuale? Uno studioso che non si accontenta di fare opera scientifica o creare un’opera d’arte, di contribuire dunque al progresso della verità o allo sviluppo del bello, ma che si sente anche toccato dal problema del bene pubblico, dei valori della società in cui vive e che partecipa al dibattito su quei valori.” Così matura la convinzione che ben oltre i tecnicismi disciplinari, l’intellettuale “nel dire e nello scrivere propone un’interpretazione del mondo” e non può prescindere da un obbligo di coerenza con le proprie teorie. Convinto oppositore di tutti i totalitarismi di cui è costellata la storia del XX secolo, Todorov esprime, con articolate riflessioni,la propria condanna della guerra come mezzo per risolvere i problemi, come in occasione dei conflitti in Afghanistan ed in Iraq: “invece di sradicare il terrorismo la guerra si è trasformata nella sua motivazione principale… Una guerra contro il terrorismo, o contro il male, ha un duplice inconveniente di essere illimitata nel tempo (non finirà mai) e nello spazio (il nemico non è identificato, è un’astrazione e può comparire ovunque).” Con pari determinazione contesta la celebre tesi di Huntington sullo “scontro di civiltà” (1996) e l’annuncio, ripreso anche da Oriana Fallaci, dell'”entrata in guerra dell’Islam contro l’Occidente”: “le civiltà incontrandosi non producono degli scontri, questi riguardano entità politiche piuttosto che culturali.”
Ricordo la sua voce pacata e il rigore argomentativo del suo intervento come relatore al Festival della Filosofia nel settembre 2006, quando presentò la sua teorizzazione di un “nuovo umanesimo“. Ben lontano da ogni forma di vitalismo, edonismo e scientismo contemporanei, senza promettere il Paradiso in terra, esso recupera il motto di Montaigne «Chi non vive in qualche modo per gli altri, non vive in alcun modo per sé». E proprio la sua personale esperienza di “spaesato” gli consente di far emergere il problema dell’altro come tema centrale della nostra epoca: secondo un diffuso individualismo, egli afferma, “oggi si preferisce credere che la vita di un uomo gli appartenga e che non abbia nulla a che vedere con quella di un altro”. La conoscenza di noi stessi passa invece attraverso quella dell’altro. É il suo sguardo su di me a permettermi di percepirmi nella mia individualità: “l’essere umano è segnato da un’incompletezza costitutiva, ha bisogno degli altri per essere quello che è. La coscienza di sè nasce dalla presenza dell’altro: io sono quello che tu guardi”. Secondo Todorov, poi, non c’è identità se non attraverso il confronto con il diverso. L’altro è colui che mi invia delle immagini del mio stesso IO e contribuisce alla costruzione della mia identità. In questo senso La conquista dell’America- Il problema dell’altro” (1982) appare ancora oggi il testo paradigmatico per l’analisi di quelle determinate forme sociali e culturali alla base della “scoperta dell’altro”: da Colombo in poi, per secoli “l’Europa occidentale ha cercato di assimilare l’altro, di far scomparire l’alterità esteriore e in gran parte ci è riuscita… Ho scritto questo libro.. perché venisse ricordato quel che può accadere se non si riesce a scoprire l’altro.”
Le differenze tra le culture, dunque, sono indispensabili al cammino dell’umanità e non esistono culture”pure”: tutte le culture sono “ibride o meticce” e necessariamente mutevoli. Così pure ogni individuo è pluriculturale e “le persone non sono che il risultato delle innumerevoli interazioni che costellano una vita”. E, prosegue Todorov, “la separazione e la chiusura delle culture o delle comunità, imposte da fuori o rivendicate dall’interno, sono più vicino al polo della barbarie, mentre il riconoscimento reciproco è un passo verso la civiltà“. A chi gli manifestava il pericolo del multiculturalismo generato dall'”invasione dei barbari”, lo scrittore invitava a considerare piuttosto il pericolo della “deculturazione”. “Ricordiamoci – scriveva – delle rivolte nelle periferie francesi del 2005… Il procuratore generale di Parigi non ha trovato tra i rivoltosi nessuna traccia di rivendicazione identitaria, nessun segno di recupero politico o religioso. In larga maggioranza di nazionalità francese, sono per il 50% non scolarizzati: non è la presenza di una cultura straniera, il problema, ma l’assenza di una cultura di base e di una politica della città“capace di affrontare l’emarginazione. Il solito buonismo? Per lo scrittore si tratta piuttosto di realismo: “Gli incontri con gli stranieri sono destinati a moltiplicarsi. Ci tocca solo trarre il meglio da questi incontri, a casa loro come da noi e questo passa attraverso la cooperazione laggiù,l’integrazione qui. Le forze del nostro interesse e della nostra coscienza ci spingono nella stessa direzione“.
E nell’ultima opera pubblicata prima di morire, I resistenti (2016), Todorov ci presenta “personaggi ribelli”, uomini e donne – da Etty Hillesun a Nelson Mandela – “in grado di combattere un nemico senza odio”. Il primo passo, sostiene l’autore, è non annullare l’umanità dell’altro, continuando a vedere “che anche il mio nemico è una persona”. In questo nostro tempo, nel quale la competizione è di tutti contro tutti, l’avversario viene sempre più frequentemente trasformato in nemico e il diverso è sentito come minaccia costante alla propria identità, cui si inneggia – spesso incapaci di definirla – come a monolite da difendere, il confronto con il pensiero di Todorov credo non possa farci che bene.
Cremona, 24 Settembre 2017 Daniela Negri
Tzvetan Todorov (Sofia 1939 -Parigi 2017)
Esule del comunismo bulgaro, nel ’63 si trasferisce in Francia e acquisisce la nazionalità francese. Filosofo del linguaggio, poi teorico della letteratura e storico delle idee, ha guidato il “Centro di ricerca sulle Arti e il linguaggio” di Parigi. Numerosi i premi per i suoi saggi, come il Principe delle Asturie per le Scienze sociali (2008); in Italia, il Premio Nonnino-A un Maestro del nostro tempo (2002) e Grinzane Cavour per il “Dialogo tra i continenti” (2007). Tra le sue opere: La letteratura fantastica, 1970; La Conquista dell’America-Il problema dell’Altro, 1982; Teorie del simbolo, 1984; Le morali della storia 1991; Il nuovo disordine mondiale 2003; La letteratura in pericolo, 2007; La paura dei barbari, 2008; Resistenti-Storie di uomini e donne che hanno lottato per la giustizia, 1016.
“Dopo aver attraversato io stesso le frontiere, ho cercato di facilitare il passaggio ad altri. Prima, frontiere tra Paesi, lingue e culture;poi tra ambiti di studio e disciplinari nel campo delle scienze umane” (Una vita da passatore, ’10).
“Io sarò uno e doppio nel medesimo tempo… Lo sguardo dell’altro su di me è necessario per sentire che esisto… Solo la frequentazione reciproca sviluppa la ragione e il senso morale”.”La paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari”( La paura dei barbari-Oltre lo scontro delle civiltà”, 2008)
Daniela Negri
Daniela Negri, già docente di Lettere presso il Liceo scientifico “ASELLI”, volontaria per il MLAL – ONG di VERONA – in progetti di Cooperazione internazionale in America Latina, socia fondatrice della Cooperativa NONSOLONOI e Presidente della stessa dal 1995 al 2005, coordinatrice dei Corsi sulle Economie alternative promossi dalla Cooperativa in città dal 1997 al 2004 , Responsabile del Gruppo Missionario della Parrocchia di S. ABBONDIO, docente di Corsi di lingua e cultura italiana presso l’Associazione Latinoamericana – ALAC – di Cremona .