Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi

Giacomo Scotti
Giacomo Scotti

Conobbi Giacomo Scotti nell’agosto del 1993 a Učka in un campo profughi dell’Istria. Eravamo nel pieno della deflagrazione di quella che avevo conosciuto come Yugoslavia. Era presidente dell’associazione pacifista Duga (arcobaleno) che seguiva le persone che scappavano dal conflitto, associazione  con la quale poi insieme con gli amici di Asti e di Cremona con i quali “cercavamo la pace” abbiamo collaborato.

Apprezzo in questo articolo la ricerca di una verità storica che non crea – strumentalmente – contrapposizione tra le parti ma rispetti le vittime di qualunque parte esse siano. Purtroppo il Giorno del ricordoExternal link ha spesso fatto ritornare a galla sentimenti nazionalistici e vendicativi che si sperava sepolti e definitivamente sostituiti da una sincera volontà di dialogo, di costruire ponti di pace. In un’Europa in cui conviviamo italiani, sloveni e croati credo che il riconoscere le sofferenze di tutte le vittime e i presupposti storici dei singoli avvenimenti sia una modalità, oltre che seria di impostare il problema,  gravida di futuro  pacifico per tutti.


 

10 febbraio, Giorno del ricordoExternal link.

Ecco il racconto del contesto che gli italiani non conoscono: dal «fascismo di frontiera» degli anni ’20, dai crimini dell’Italia in Jugoslavia, dai 100.000 jugoslavi deportati e internati, alle violenze jugoslave del settembre ’43 e maggio ’45, fino all’esodo italiano

Ini­zio con tre brani di un discorso pro­nun­ciato al Tea­tro Ciscutti di Pola da Benito Mus­so­lini il 20 set­tem­bre 1920, dando ini­zio alle bru­tali vio­lenze con­tro le popo­la­zioni della Vene­zia Giu­lia:

«Qual è la sto­ria dei Fasci? Essa è bril­lante! Abbiamo incen­diato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revol­ve­rato i nostri avver­sari nelle lotte elet­to­rali. Abbiamo incen­diato la casa croata di Trie­ste, l’abbiamo incen­diata a Pola…»

«Di fronte a una razza come la slava, infe­riore e bar­bara, non si deve seguire la poli­tica che dà lo zuc­che­rino, ma quella del bastone. I con­fini ita­liani devono essere il Bren­nero, il Nevoso e le (Alpi) Dina­ri­che. Dina­ri­che, sì, le Dina­ri­che della Dal­ma­zia dimen­ti­cata!

Il nostro impe­ria­li­smo vuole rag­giun­gere i giu­sti con­fini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espan­dersi nel Medi­ter­ra­neo. Basta con le poe­sie. Basta con le min­chio­ne­rie evangeliche».

Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mus­so­lini inva­sero Dal­ma­zia, Slo­ve­nia e Mon­te­ne­gro, dando ini­zio a nuove stragi in nome della civiltà ita­liana. Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mon­diale – cioè all’ampliamento ad est dei ter­ri­tori di Trie­ste e di Gori­zia, all’Istria intera, alla pro­vin­cia di Fiume detta del Quar­naro ed all’enclave dal­mata di Zara – le vio­lenze fasci­ste e la sna­zio­na­liz­za­zione for­zata costrin­sero ad andar­sene più di 80.000 slo­veni, croati, tede­schi e unghe­resi, ma anche alcune migliaia di ita­liani antifascisti

Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse get­tata nella seconda guerra mon­diale, le auto­rità fasci­ste della Vene­zia Giu­lia attua­rono in segreto un cen­si­mento della popo­la­zione di quelle terre annesse venti anni prima, accer­tando che in esse vive­vano 607.000 per­sone, delle quali 265.000 ita­liani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allo­geni, ovvero il 56%. Una cifra note­vole nono­stante l’esodo degli ottan­ta­mila, nono­stante che agli slavi fos­sero stati ita­lia­niz­zati i cognomi, fosse stato vie­tato di par­lare la loro lin­gua, fos­sero state tolte le scuole e qual­siasi diritto nazio­nale. Nono­stante le per­se­cu­zioni subite, nono­stante che migliaia di loro fos­sero finiti nelle car­ceri o al con­fino, e che alcuni dei loro espo­nenti – Vla­di­mir Gor­tan, Pino Toma­zic ed altri – fos­sero stati fuci­lati in seguito a con­danne del Tri­bu­nale spe­ciale fasci­sta oppure uccisi dalle squa­dre d’azione fasci­ste a Pola (Luigi Sca­lier), a Dignano (Pie­tro Benussi), a Buie (Papo), a Rovi­gno (Ive) e in altre loca­lità istriane.

Emble­ma­tici di que­ste per­se­cu­zioni con­tro slavi e anti­fa­sci­sti ita­liani in Istria e Vene­zia Giu­lia sono i sistemi coer­ci­tivi per inviare i con­ta­dini al lavoro nelle miniere di car­bone di Arsia-Albona dove, per dupli­care la pro­du­zione senza però ade­guate pro­te­zioni dei mina­tori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tra­ge­dia (allora taciuta dalla stampa) in cui per­sero la vita 180 mina­tori, lasciando oltre mille vedove ed orfani. Emble­ma­tica di quel periodo in Istria è anche una can­zon­cina can­tata dei gerar­chi che diceva:

A Pola xe l’Arena
la Foiba xe aPi­sin: buta­remo zo in quel fondo
chi ga certo morbin.

E allu­dendo alle foibe, un’altra poe­siola minac­ciava chi si oppo­neva al regime:

… la pagherà/ in fondo alla Foiba finir el dovarà.

 

Aprile 1941, l’aggressione

L'incendio dell'Hotel Balkan
L’incendio del Narodni dom (in sloveno, Casa del popolo o Casa nazionale) di Trieste.

Nell’aprile del Qua­ran­tuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugo­sla­via senza dichia­ra­zione di guerra, seguita dall’occupazione di lar­ghe regioni della Slo­ve­nia e della Croa­zia, dall’intero Mon­te­ne­gro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slo­ve­nia ribat­tez­zata Pro­vin­cia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Gover­na­to­rato della Dal­ma­zia con tre pro­vin­cie da Zara fino alle Boc­che di Cat­taro, e la crea­zione della nuova pro­vin­cia allar­gata di Fiume detta “Pro­vin­cia del Quar­naro e dei Ter­ri­tori annessi della Kupa” com­pren­dente tutta la parte mon­tana della Croa­zia alle spalle del Quar­nero più le isole di Veglia ed Arbe che si uni­vano a quelle di Cherso e Lus­sino. Così l’Italia incor­porò nel pro­prio ter­ri­to­rio nazio­nale regioni abi­tate al 99% da slo­veni e croati con una popo­la­zione di oltre mezzo milione di per­sone che si aggiun­ge­vano al 342.000 “allo­geni” già assog­get­tati all’Italia ed al fasci­smo ita­liano da due decenni. Il Mon­te­ne­gro intero fu tra­sfor­mato a sua volta in un Gover­na­to­rato ita­liano. Il Kosovo, ter­ri­to­rio della Mace­do­nia, fu annesso invece alla cosid­detta Grande Alba­nia che già dal ’39 era una colo­nia dell’Italia.

Le vio­lenze con­tro i civili dei ter­ri­tori annessi o occu­pati furono com­piuti in base a “una ben pon­de­rata poli­tica repres­siva” come ci rivela una ben nota cir­co­lare del gene­rale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: “il trat­ta­mento da fare ai ribelli non deve essere sin­te­tiz­zato nella for­mula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente”. A sua volta il gene­rale Robotti, ordi­nando rastrel­la­menti a tap­peto nel giu­gno e ago­sto 1942, indi­cava que­ste solu­zioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata:“inter­na­mento di tutti gli slo­veni per rim­piaz­zarli con gli ita­liani” e per “far coin­ci­dere le fron­tiere raz­ziali e poli­ti­che”: “ese­cu­zione di tutte le per­sone respon­sa­bili di atti­vità comu­ni­sta o sospet­tate tali”. Infine, “Si ammazza troppo poco!”.

Mi limi­terò a un pic­colo ter­ri­to­rio alle spalle di Fiume e ad un solo mese, luglio del 1942. Nelle bor­gate di Castua, Mar­ce­gli, Rubessi, Viskovo e Spin­cici furono incen­diate cen­ti­naia di case e fuci­late decine di per­sone come «avver­ti­mento». Nel Comune di Grob­nik, il vil­lag­gio di Pod­hum fu com­ple­ta­mente raso al suolo per ordine del pre­fetto Temi­sto­cle Testa. All’alba del 13 luglio, per “ven­di­care” due fasci­sti scom­parsi il giorno prima da quel vil­lag­gio, furono dap­prima sac­cheg­giate e poi incen­diate 484 case, por­tati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, depor­tati nei campi di con­cen­tra­mento in Ita­lia 889 per­sone (412 bam­bini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fuci­late altre 108 per­sone. Uno sterminio.

I fasci­sti ita­liani, pas­sati al ser­vi­zio del tede­schi dopo il set­tem­bre 1943, con­ti­nua­rono a bat­tersi “per l’italianità” dei ter­ri­tori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricor­dato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vec­chi, donne e bam­bini sor­presi quel giorno in paese, furono ster­mi­nati: parte fuci­lati, parte rin­chiusi in un edi­fi­cio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ce ne furono a cen­ti­naia in Istria, nel ter­ri­to­rio quar­ne­rino, in Slo­ve­nia, in Dal­ma­zia, in Mon­te­ne­gro, ovun­que arri­va­rono i mili­tari fasci­sti e le altre for­ma­zioni inviate da Mussolini.

Nei miei scritti ho docu­men­tato lo ster­mi­nio di 340.000 civili slavi fuci­lati e mas­sa­crati dall’aprile 1941 all’inizio di set­tem­bre 1943 nel corso dei cosid­detti “rastrel­la­menti” ed ope­ra­zioni di rap­pre­sa­glia con­tro le forze par­ti­giane insorte. Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Ita­lia, di altri 100.000 civili mon­te­ne­grini, croati e slo­veni depor­tati nei capi di con­cen­tra­mento appron­tati dalla pri­ma­vera all’estate del 1942 dall’esercito ita­liano per rin­chiu­dervi vec­chi, donne e bam­bini col­pe­voli uni­ca­mente di essere con­giunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi dis­se­mi­nati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dal­ma­zia fino a Gonars nel Friuli ed altri in tutto lo Sti­vale, mori­rono di fame, di stenti e di epi­de­mie circa 16.000 per­sone nel giro di poco più di un anno di depor­ta­zione. Tutto que­sto viene taciuto nella Gior­nata del Ricordo che si cele­bra in Ita­lia da una decina d’anni. Si ricor­dano sol­tanto le nostre per­dite: il dolore dei nostri con­na­zio­nali costretti a lasciare le terre con­cesse all’Italia dopo la prima guerra mon­diale, il dolore delle fami­glie degli infoi­bati nel set­tem­bre 1943 in Istria e nel mag­gio 1945 a Trie­ste, Gori­zia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito. È giu­sto, è dove­roso ricor­dare foibe ed esodo, le nostre vit­time, i nostri dolori, ma non si dovreb­bero tacere il con­te­sto sto­rico, le colpe del fasci­smo che por­ta­rono alla scon­fitta ed alla per­dita di quelle regioni. Non si dovreb­bero tacere o volu­ta­mente igno­rare le vit­time delle popo­la­zioni slave oppresse, mar­to­riate e deci­mate dap­prima nel ven­ten­nio fascista in Istria ed a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mon­diale. Sulla bilan­cia e nel con­te­sto sto­rico vanno messi, dun­que, anche i dolori che noi abbiamo arre­cato agli altri.

La reto­rica e la canea mediatica

In un sag­gioExternal link  sul Giorno del Ricordo pub­bli­cato nel 2007, l’autorevole sto­rico ita­liano Enzo Col­lotti External link scrisse sull’argomento parole da non dimen­ti­care, denun­ciando l’enfatizzazione di

«una reto­rica che non con­tri­bui­sce ad alcuna let­tura cri­tica del nostro pas­sato, né ad ele­vare il nostro senso civile, ma – cito – ali­menta ulte­rior­mente il vit­ti­mi­smo nazio­nale», dando «ai fasci­sti e post­fa­sci­sti la pos­si­bi­lità di urlare la loro menzogna-verità per oscu­rare la riso­nanza dei cri­mini nazi­sti e fasci­sti ed omo­lo­gare in una inde­cente e impu­dica par con­di­cio della sto­ria tra­ge­die incom­pa­ra­bili». Col­lotti con­danna in par­ti­co­lare la «canea, soprat­tutto media­tica, susci­tata intorno alla tra­ge­dia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i mas­simi respon­sa­bili», che non per­mette di «fare chia­rezza intorno a un modo reale della nostra sto­ria che viene bran­dito come man­ga­nello per rela­ti­viz­zare altri e più radi­cali cri­mini» com­piuti dai fascisti.

Per Colotti, le vicende delle foibe e dell’esodo ci ripor­tano «alle ori­gini del fasci­smo nella Vene­zia Giu­lia», una regione defi­nita ita­lia­nis­sima da chi non vuole accet­tare la realtà di un ter­ri­to­rio mul­tiet­nico e «tra­sfor­mato in un’area di con­flitto inte­ret­nico dai vin­ci­tori» della prima guerra mon­diale, «inca­paci di affron­tare i pro­blemi posti dalla com­pre­senza di gruppi nazio­nali diversi», anzi decisi ad estir­pare anche con lo spar­gi­mento di san­gue qual­siasi pre­senza non ita­liana. Cal­pe­stando le tra­di­zioni della cul­tura ita­liana, il fasci­smo impose alle nuove terre — così come tentò di fare nei ter­ri­tori bal­ca­nici occu­pati nella seconda guerra mon­diale – «una ita­lia­nità sopraf­fat­trice», rive­lando il suo volto cri­mi­nale, susci­tando la legit­tima rivolta di quei popoli e tra­sci­nando l’Italia nel dramma della scon­fitta. Un dramma di cui non fu vit­tima, ma pro­ta­go­ni­sta.

«I pala­dini del nuovo patriot­ti­smo d’oggi, fon­dato sul vit­ti­mi­smo delle foibe – cito sem­pre Col­lotti – fareb­bero bene a rileg­gersi i fieri pro­po­siti dei loro padri tute­lari, quelli che par­la­vano della supe­rio­rità della civiltà e della supe­riore razza ita­lica».

«Che cosa tut­tora sa la mag­gio­ranza degli ita­liani sulla poli­tica di sopraf­fa­zione del fasci­smo con­tro le mino­ranze slo­vena e croata… addi­rit­tura da prima dell’avvento al potere: della bru­tale sua gene­ra­liz­za­zione (…) come parte di un pro­getto di distru­zione dell’identità nazio­nale e cul­tu­rale delle mino­ranze?».

E della scia­gu­rata annes­sione al regno d’Italia di una parte della Slo­ve­nia e della Dal­ma­zia, con il seguito di rap­pre­sa­glie e repres­sioni che poco hanno da invi­diare ai cri­mini nazi­sti? Che cosa sanno degli ultra­na­zio­na­li­sti ita­liani che nel loro odio anti­slavo fecero causa comune con i nazi­sti inse­dia­tisi nel cosid­detto Lito­rale adria­tico, sullo sfondo dei forni cre­ma­tori della Risiera di Trie­ste e degli impic­cati di via Ghega sem­pre a Trie­ste, delle stragi in Istria, nel Quar­nero, a Pisino e altrove?

I «lembi della Patria»

Poco sanno gli ita­liani per­ché da dieci anni, nelle scuole e fuori si parla sol­tanto di foibe e di esodi, di cri­mini com­piuti dagli «slavi», e nulla dei cri­mini com­piuti dai fasci­sti ita­liani la cui docu­men­ta­zione è tut­tora chiusa negli «armadi della ver­go­gna», insieme ai docu­menti delle con­se­guenze pesanti di una guerra scel­le­rata, di una guerra per­duta. Lo scotto fu pagato dalle popo­la­zioni delle pro­vin­cie del con­fine orien­tale, le più espo­ste sui cosid­detti «lembi della Patria».

La verità non chiede nulla, sol­tanto il corag­gio di tro­varla e dirla. Ma ora per impe­dirla si chiede una legge che con­danni al car­cere gli sto­rici indi­cati da essi come ridu­zio­ni­sti e nega­zio­ni­sti, defi­niti tali solo per­ché si bat­tono per far cono­scere tutta la verità, insor­gendo anche con­tro chi – con le men­zo­gne – getta il fango sulle stesse vit­time ita­liane – e mi rife­ri­sco agli infoi­bati ed eso­dati dalle terre per­dute per colpa di Mus­so­lini. biso­gne­rebbe smet­terla di gon­fiare all’infinito, col vol­gari fal­sità, il numero di que­ste nostre vit­time e di spe­cu­lare poli­ti­ca­mente oggi sulle tra­ge­die vis­sute dai nostri fra­telli dell’Istria, di Fiume e di Zara. Sì, dico Zara per­ché in Dal­ma­zia di terra con­cessa all’Italia nel 1920, c’era sol­tanto l’enclave di Zara e non tutta la Dal­ma­zia. Per­ché par­lare oggi di Dal­ma­zia ita­liana? Va bene se si ricorda la cul­tura ita­liana semi­nata da Vene­zia dal Quat­tro al Set­te­cento, ma se si vuole allu­dere alla Dal­ma­zia occu­pata e annessa da Mus­so­lini dall’aprile 1941 al set­tem­bre 1943, allora no, quella non era terra ita­liana, altri­menti non sarebbe stata messa a ferro e fuoco per spez­zarne la resi­stenza. Basta con l’esaltazione del colo­nia­li­smo fasci­sta! Basta con le men­zo­gne e le spe­cu­la­zioni sulle tra­ge­die dei nostri fra­telli di Zara, di Fiume, del Quar­nero ed Istria, senza nascon­dere le vit­time croate, slo­vene, mon­te­ne­grine, cioè di quei popoli che, da sem­pre nostri vicini di casa, vogliono essere nostri amici nell’Unione Euro­pea, con i quali dob­biamo com­mer­ciare, costruire ponti comuni, un mondo senza guerre e senza ran­cori. Basta con le omis­sioni, con le rico­stru­zione disin­volte dei fatti let­te­ral­mente inven­tati dalla destra neo­fa­sci­sta che sta costruendo una spe­cie di con­tro­sto­ria da tra­man­dare per coprire la ver­go­gna del fasci­smo, e per rin­fo­co­lare le pre­tese ter­ri­to­riali sulla costa orien­tale dell’Adriatico.

L’«era» Mus­so­lini

Il mio sogno, che non è sol­tanto il mio, è l’istituzione di una Gior­nata dei Ricordi, al plu­rale, nella quale poter unire nei loro dolori ita­liani e slavi, indi­cando nel fasci­smo e nel nazio­na­li­smo di ambe­due le parti i veri col­pe­voli delle guerre, delle distru­zioni, degli eccidi, delle ven­dette, e degli esodi del pas­sato, addi­tando in essi i peri­coli che incom­bono sul comune futuro di ami­ci­zia e cooperazione.

Fucilazione dei civili jugoslavi

Oggi, quando l’Italia, Slo­ve­nia e Croa­zia stanno insieme nell’Unione euro­pea, quando i con­fini sono caduti. Ricor­diamo che in Slo­ve­nia e Croa­zia vivono ancora tren­ta­mila ita­liani sui quali non devono cadere l’ombra e il peso degli odi del pas­sato. Per­ché essi, in gran parte discen­denti da matri­moni misti e adusi ormai da settant’anni alla con­vi­venza, al plu­ri­lin­gui­smo e al mul­ti­cul­tu­ra­li­smo, vanno con­si­de­rati l’anello che uni­sce le due sponde dell’Adriatico; essi svol­gono e ancor più in futuro sono chia­mati a svol­gere il dop­pio ruolo di con­ser­vare la cul­tura e la lin­gua ita­liana nella regione istro-quarnerina e di eser­ci­tare la fun­zione di cor­done ombe­li­cale fra i paesi con­fi­nanti o dirim­pet­tai. Ripo­sta ogni riven­di­ca­zione ter­ri­to­riale da parte ita­liana su Capo­di­stria, Pola, Fiume, Zara ecce­tera, con­dan­nate le colpe dell’imperialismo fasci­sta e le vel­leità revan­sci­ste, ma anche le colpe di coloro che nei giorni bur­ra­scosi del set­tem­bre 1943 e dell’immediato dopo­guerra degli anni Qua­ranta del secolo scorso scris­sero le ver­go­gnose pagine delle foibe; ricor­dando sem­pre che l’esodo degli ita­liani dalle terre per­dute fu con­se­guenza di una guerra voluta e per­duta dal fasci­smo, oggi i figli degli esuli e dei rima­sti si ritro­vano per quello che sem­pre furono: fra­telli. Ma non basta. Gli ita­liani rima­sti sulla sponda orien­tale dell’Adriatico, per lun­ghi anni accu­sati dall’estrema destra ita­liana di tra­di­mento, indi­cati come titoi­sti, potranno restare nel cuore di tutti gli ita­liani dello Sti­vale sol­tanto se si col­ti­verà l’amicizia con i popoli in mezzo ai quali essi vivono e se saranno rispet­tati e rico­no­sciuti il loro ruolo e il loro merito di aver man­te­nuto vive le radici in quelle terre quali cit­ta­dini della Slo­ve­nia e della Croa­zia, per­pe­tuando la lin­gua materna e col­ti­vando l’amore per la madrepatria.

Giorgio Napolitano, e il Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović
Giorgio Napolitano, e il Presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović, Arena di Pola, 8 settembre 2011.

Dai mas­simi ver­tici negli ultimi tre anni, è stato dato l’esempio da seguire, a comin­ciare dal ver­tice dei pre­si­denti slo­veno, croato e ita­liano avve­nuto a Trie­ste nel 2010. Con l’incontro dei pre­si­denti ita­liano e croato, Napo­li­tano e Josi­po­vic, all’Arena di Pola, nel 2011. Ci sono stati nel 2013 altri due ver­tici: gli incon­tri fra Josi­po­vic e Napo­li­tano alla fine di giu­gno a Zaga­bria e all’inizio di dicem­bre a Roma. Napo­li­tano ha auspi­cato il «supe­ra­mento di un pas­sato che ha por­tato pur­troppo ingiu­sti­zie e sof­fe­renze alle popo­la­zioni dei nostri due Paesi»; Josi­po­vic ha ricor­dato a sua volta la frat­tura aper­tasi nel periodo suc­ces­sivo alla seconda guerra mon­diale, che, coin­vol­gendo ita­liani esuli e rima­sti insieme ai croati (e slo­veni), si può con­si­de­rare ormai rimar­gi­nata: «Con il pre­si­dente Napo­li­tano – ha detto ancora – abbiamo rico­no­sciuto le sof­fe­renze di entrambi. Ora i nostri rap­porti sono diversi». Hanno sem­pre par­te­ci­pato i mas­simi espo­nenti dell’Unione Ita­liana, e cioè degli ita­liani d’oltre con­fine, i «rima­sti» appunto.

Per con­clu­dere: i cir­coli della destra filo­fa­sci­sta in Ita­lia devono smet­tere di mani­po­lare la sto­ria per rin­fo­co­lare odi e ran­cori. Basta con le accuse degli estre­mi­sti al cosid­detto «san­gui­na­rio con­qui­sta­tore» croato, slo­veno e slavo in genere, per­ché non furono quei popoli ad aggre­dire e inva­dere l’Italia nel Qua­ran­tuno, né ad occu­pare lar­ghe fette dell’Italia come fecero le truppe di Mus­so­lini in Jugo­sla­via fino al set­tem­bre 1943. Basta con il fasci­smo di fron­tiera, anti­slavo da sem­pre, ieri come oggi. Basta con il nega­zio­ni­smo aggres­sivo del neo­fa­sci­smo che cerca di nascon­dere i cri­mini della cosid­detta «era» di Mus­so­lini, il periodo peg­giore subito dagli istriani, dai fiu­mani e dai dal­mati. Vogliamo rispetto per quelle terre e per le loro popo­la­zioni che ci inse­gnano la con­vi­venza basata sul reci­proco rispetto delle sof­fe­renze pas­sate e sulla reci­proca volontà di costruire un migliore futuro comune. Non pos­siamo accet­tare atteg­gia­menti ran­co­rosi di chiu­sure al futuro, né cedere a un camuf­fato neoim­pe­ria­li­smo — anche cul­tu­rale — di ritorno che cerca di essere amni­stiato con il Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo delle terre per­dute. Auspico che in avve­nire, in una plu­rale Gior­nata dei Ricordi non si insi­sta sulla con­ta­bi­lità fal­sata di eso­dati e vit­time, ma si con­si­deri tutto il male del pas­sato, e si agi­sca per­ché non si ripeta in futuro in que­ste terre e nella stessa Ita­lia quella bar­ba­rie che ha fatto parte del lungo «secolo breve» qual è stato il Novecento.

Da Il manifesto del 5 febbraio 2014 External link

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