Giovedì 5 marzo 2015 incontro di due classi terze con Igor Pesce, volontario di Emergency, che ha prestato la sua opera in Afghanistan seguendo la realizzazione del centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency a Lashkar-gah.
Credo che l’incontro con “testimoni” sia un importante veicolo di valori dunque di educazione e di crescita personale.
In un articolo Igor scrisse che la sua storia è:
… storia fatta di uomini, persone, individui che hanno realizzato un’oasi in mezzo al deserto dove la gente può venire ricoverata e ricevere cure mediche in maniera del tutto gratuita, in un paese, l’Afghanistan appunto, dove tutto ha un prezzo, anche la sanità pubblica. La storia di un architetto, che ama la sua professione, e che per la prima volta scopre quasi per caso che la stessa può realmente e concretamente contribuire a realizzare almeno un tassello di quello che in italiano chiamiamo pace e che in arabo viene detto “salam”. E’ la storia di un uomo che è rimasto affascinato, colpito, influenzato dalle montagne che come draghi di pietra addormentati accudiscono un deserto caldo, polveroso, sassoso, pieno di insidie ma anche ricco di umanità, gioia, colori, sorrisi.
Dall’altra la storia di quotidiana guerra. La guerra è guerra. Non ci sono termini per addolcirla, addomesticarla, renderla meno dolorosa. La guerra è guerra. Lo sanno i soldati che la combattono, lo sanno i civili che ci devono convivere, lo sanno i parenti delle vittime, vittime che al giorno d’oggi sono per il 90% civili. La storia di una guerra di cui io ho visto i tragici e per nulla “umanitari” risultati nelle sale operatorie degli ospedali di Emergency, di cui ho letto l’inutilità e insensatezza negli occhi dei soldati che ho incontrato lungo il mio cammino. La guerra non porta da nessuna parte. Non risolve nessun tipo di conflitto. L’ho sperimentato in prima persona. L’ho visto con i miei occhi. L’ho sentito con le mie orecchie. Ed è in maniera intima e sussurrata che cerco di trasmetterlo allo spettatore.
Fonte: http://www.undo.net/it/mostra/62625
Aiutare ogni uomo/donna che si incontra sul nostro cammino senza chiederci nulla. Nulla della sua provenienza, della sua appartenenza sia essa politica, religiosa, etnica… sapendo solo che ha bisogno del nostro aiuto. Averne compassione, sentire le sue sofferenze, considerarlo anzitutto persona, riconoscerne la dignità. E’ quello che ha fatto il samaritano della parabola raccontata dall’evangelista Luca 10, 25-37. Vedere, averne compassione, farsi vicino offrire quanto si ha senza farsi domande sul perchè sia in quelle condizioni. E’ li mezzo morto sul ciglio della strada e con la sua presenza sofferente interpella la mia coscienza.
E’ questo l’invito che viene rivolto a noi dalla Parola, invito che quotidianamente tanti uomini di buona volontà, consapevolmente o inconsapevolmente, testimoniano e ci ricordano con la loro vita.
Provare compassione (cum-patire, soffrire con l’altro, empatia), è ciò che fa di un uomo un essere che esce dal proprio io per incontrare l'”altro”. Questo fa paura perchè ci pone nuovi orizzonti e nuove responsabilità.
A questo proposito trovo interessante e acuta la riflessione che Alessandro Manzoni fa nel capitolo XXI dei Promessi sposi (scarica il libro in formato e-pub). Assistiamo al colloquio tra il Nibbio, appena tornato dalla missione assegnatagli, e il suo padrone: l’Innominato. Alla richiesta di raccontargli l’esito della vicenda, il bravo spiega che tutto è andato a puntino, ma conclude la sua relazione con una congiunzione avversativa che preoccupa il padrone: “Ma…“. L’Innominato, che avverte nel comportamento del Nibbio qualcosa che mai aveva avvertito prima, chiede ulteriori spiegazioni.
Nibbio: Ma… dico il vero, che avrei avuto più piacere che l’ordine fosse stato di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso.
Innominato: Cosa? Cosa? Che vuoi tu dire?
Nibbio: Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo… m’ha fatto troppa compassione.
L’Innominato rimane turbato dall’affermazione del Nibbio, arrivando a temere Lucia, l’unica persona che sia riuscita a far provare compassione al suo bravo più crudele. Il Nibbio non aveva mai provato compassione prima d’ora, è confuso, e alla domanda del suo padrone “Che sai tu di compassione?” risponde:
«Non l’ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo.»
(Capitolo XXI)
Sì, se ci si lascia prender possesso dalla compassione non si è più l’uomo/donna di prima. Forse il mondo in cui vivremo sarà migliore per tutti anche per chi non ha diritti o non può far sentire la propria voce. Che sempre più ci siano persone che si facciano contagiare da questa storia, si facciano prendere da questa forza potente come la “paura”: la compassione.
Il Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency a Lashkar-gah
Il Centro chirurgico per vittime di guerra di Emergency a Lashkar-gah è l’unica struttura sanitaria gratuita [le cure sanitarie si devono pagare, come in gran parte dei paesi] e di qualità disponibile in tutta la regione di Helmand, epicentro della guerra afgana.
Emergency ha aperto il Centro chirurgico di Lashkar-gah nel 2004; gli ambiti di intervento sono la chirurgia per vittime di guerra e la traumatologia.
Il 60% dei pazienti ricoverati è curato per ferite di guerra causate da bombe, mine antiuomo, pallottole. Oltre un terzo dei pazienti ha meno di 14 anni.
L’ospedale di Lashkar-gah è il centro di riferimento per i pazienti dei Posti di primo soccorso dei villaggi di Grishk, Garmsir, Marjia, Sangin, Musa Qala e Urmuz.
Fonte: http://www.emergency.it/afghanistan/lashkar-gah-centro-chirurgico.html
Tiziano Terzani
Il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah è dedicato al giornalista, scrittore e soprattutto uomo di pace Tiziano Terzani.
Riporto di seguito alcune frasi, alcuni frammenti, tratti dal libro Lettere contro la guerra(che consiglio caldamente di leggere. Lo puoi acquistare on line), credo siano un valido strumento per approfondire quanto Emergency sta facendo nei paesi in cui è presente.
Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità e ispirato ad un po’ più di moralità.
… Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità… Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i nostri figli ad essere onesti, non furbi.
È il momento di uscire allo scoperto; è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale, molto più che con nuove armi.”
«In tutta la storia ci sono sempre state delle guerre. Per cui continueranno ad esserci», si dice. «Ma perché ripetere la vecchia storia? Perché non cercare di cominciarne una nuova?» rispose Gandhi a chi gli faceva questa solita, banale obiezione.