Mauri don Cristiano, A Natale hanno cacciato fuori Dio. Ma non è detto che a Lui dispiaccia.

A Natale hanno cacciato fuori Dio. Ma non è detto che a Lui dispiaccia.
don Cristiano Mauri

Presepe realizzato dai militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf
Presepe realizzato dai militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf

La grotta – o capanna che sia – ha il suo fascino, ammettiamolo. «E vieni in una grotta al freddo e al gelo»: ci piace, suona bene, ha persino il vago sapore romantico della semplicità, del “poveri ma belli” e della felicità per le piccole cose, in barba al disagio. Che tenerezza il bimbo nella mangiatoia, vero? D’altronde il Natale si nutre di buoni sentimenti e il quadretto della grotta di Betlemme ne è un serbatoio inesauribile.

Il fatto è che Gesù non nacque in una grotta. Gesù nacque fuori. Il che, di romantico e poetico ha ben poco. Ma i Vangeli non si preoccupano di far poesia e vanno al nocciolo, dichiarando con semplicità che per Lui non ci fu posto dentro la «stanza principale» di quella casa e perciò rimase fuori. Vero: la mangiatoia ci suggerisce che trovò posto nella stalla adiacente la sala principale, ma il concetto resta: rispetto al cuore pulsante della casa Gesù nacque fuori.

Non distante, per la verità, anzi vicino, vicinissimo. Però ai margini. Dell’ospitalità, della vita sociale, del mondo di relazioni familiari e non che riempiva la casa quella notte Gesù si sedette ai bordi, praticamente in uno sgabuzzino, discosto e come un po’ in disparte, senza prendere le distanze ma senza invadere il campo.

Una beffa, oltretutto. Perché non pareva esserci posto migliore: era la casa di Giuseppe, anzitutto, con tutte le garanzie che i legami di parentela possono offrire; e poi terra di Efrata, che significa terra feconda e ricca di frutti; infine a Betlemme che coi suoi molteplici significati (“casa del pane” in ebraico, “casa della carne” in arabo, “casa del dio della fertilità” nella radice etimologica più antica) suggeriva l’abbondanza come cornice sicura di quella nascita. D’altronde, da che mondo è mondo, la ricchezza è segno della benevolenza di Dio e di una sua speciale benedizione. Invece no, fuori. Non solo dai palazzi dei re, ma anche dal contesto sociale e familiare più normale e ordinario. Fuori dalla stanza apparecchiata, fuori dai riti di accoglienza, fuori dall’abbondanza di umanità: Gesù sta all’esterno. Là dove si portano i rifiuti, dove stanno i poveri, dove vivono i miserabili, dove c’è la solitudine e l’abbandono, la precarietà e la paura del futuro, dove si cerca di confinare il nemico e ogni presenza sgradita. Dentro stanno i ricchi, le cose preziose, i tesori da esibire o nascondere a seconda delle circostanze, dentro stanno gli amici e gli ospiti di riguardo, dentro c’è l’accoglienza, la fraternità, la sicurezza e la serenità.

Un ragazzo decora un albero in una baraccopoli di Islamabad, in Pakistan. B.K. Bangash, Ap/Lapresse
Un ragazzo decora un albero in una baraccopoli di Islamabad, in Pakistan. B.K. Bangash, Ap/Lapresse

Ma lì non ci va per “stare con i poveri”. Ci nasce. Gesù,  fuori – e non dentro – ci nasce, come ogni povero. Non si mette, cioè, semplicemente a loro fianco, bensì diviene uno di loro, povero a sua volta. Perché solo un povero può amare davvero i poveri, mentre da ricchi si finisce – anche involontariamente – con l’esercitare sempre un potere da un gradino superiore, quello della ricchezza che può fare beneficenza. Non poteva osare che in questo modo l’impresa di salvare l’uomo, ogni uomo: che ce ne saremmo fatti, del resto, di un Dio giustapposto? Come poter considerare Salvezza l’amore di Uno che semplicemente si siede accanto? Doveva prendere la carne, la mia, la nostra stessa carne per abitarne anzitutto i margini e le periferie, al di là di quella «stanza principale» che sono i tratti più nobili e presentabili di noi, quelli in cui volentieri si ospita il prossimo. In quel nascere fuori il Figlio di Dio doveva raggiungere le zone più oscure della nostra umanità, quelle di cui ci libereremmo volentieri mettendole alla porta, per il ribrezzo che abbiamo anche solo a considerarle. Così avviene: ai margini dell’abbondanza di Betlemme ogni fibra della nostra povertà umana viene abitata da Dio, il Dio che è povero fino alla fine perché nessuna nostra miseria sia mai una lontananza definitiva da Lui, il Dio che sta fuori perché è l’unico luogo in cui c’è così tanto posto da non escludere nessuno.

In quello spazio aperto, ai bordi di atmosfere casalinghe e familiari, il bambino nella mangiatoia fonda la Sacra Famiglia. Maria e Giuseppe, certo, ma soprattutto i pastori, coloro che – come gli sposi di Nazaret – hanno cercato il Figlio obbedendo alla voce del Padre. Non sono quelli della sala adiacente che già «avevano la loro ricompensa» di quel dentro ad essere chiamati dagli angeli, ma coloro che stavano fuori, ed erano abituati a starci, periferie umane, bassifondi della società. Giungono la solitudine, la fame, l’emarginazione, la pessima reputazione a fargli visita. Arrivano quelli “sbagliati”, quelli che non è bene fare entrare, dei quali è opportuno diffidare e che, se proprio devono star dentro, che almeno si diano una ripulita. Ma anche quelli a cui nessuno pensa, quelli tagliati fuori, di cui nessuno si ricorda, quelli della cui disponibilità ci si approfitta perché «non hanno una famiglia a cui badare», che non appartengono a nessuna categoria e dunque non possono accampar diritti. Attorno al Dio povero si raduna una comunità in virtù di una Parola udita, accolta, praticata. È la famiglia del Vangelo, la vera Sacra Famiglia, quella in cui si entra solo da poveri, spogli e liberi di ogni ricchezza e privilegio, persino quella dei legami di sangue. Quella Famiglia, fondata sull’obbedienza alla volontà di Dio e sulla Sua giustizia, sarà descritta da Gesù nel Suo ministero pubblico come il canale in cui scorrono la Misericordia, la Compassione, la Carità di Dio al di sopra di ogni cosa. È il dono del Dio povero ai poveri che hanno il coraggio di restare fuori, smettendo di invidiare chi sta dentro e di considerare la ricchezza come propria salvezza. È lo spazio – l’unico e il solo – in cui le miserie, mediocrità, solitudini, paure e insicurezze possono realmente essere deposte, curate, guarite senza vergogne e umiliazioni in relazioni che sono Salvezza.

Questi che osano rimanere poveri insieme al Povero saranno forse quelli capaci di costruire la Chiesa povera; certo non lo saranno coloro che da ricchi si travestono da poveri per recitare la parte del buon cristiano.

Chi non teme di esser fuori forse costruirà una Chiesa dalla quale nessuno – realmente nessuno – sarà mai e in alcun modo allontanato; certo non potrà farlo chi è occupato a dettare a chi sta fuori le condizioni per entrare.

Colui che si spoglierà della propria abbondanza per ricevere in dono la Sacra Famiglia forse saprà edificare la Chiesa della Compassione; certo non lo farà chi si affanna senza posa nell’allestire lo spettacolo della carità cristiana.

Ti pare di non trovare Gesù a Natale?

Cerca fuori. Chissà mai…

 

Fonte: http://www.labottegadelvasaio.net/2013/12/25/a-natale-hanno-cacciato-fuori-dio-ma-non-e-detto-che-a-lui-dispiaccia/ External link


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