Ordet – La Parola (Ordet ) è un film del 1955 diretto da Carl Theodor Dreyer.
Ispirato all’omonima opera teatrale del pastore protestante Kaj Munk, è il penultimo lungometraggio del maestro della cinematografia danese, sicuramente tra le sue opere di maggior fortuna.
La pellicola ottenne vari premi, tra i quali spicca il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia del 1955 .
Propongo di seguitio la recensione-saggio della Prof.ssa Simonetta Salvestroni.
Simonetta Salvestroni
Ordet di Carl Dreyer
Sono molto pochi nel cinema i film d’autore capaci di far vivere allo spettatore due ore di spiritualità profonda. Uno di questi è Ordet, acclamato come capolavoro dalla critica, in particolare dagli autori dei “Chaiers du cinéma ”. Il film viene girato nell’estate-autunno del 1954. La prima a Copenaghen il 10 gennaio 1955 è accolta favorevolmente dalla critica e dal pubblico danese 1 . Il 26 agosto dello stesso anno Ordet é proiettato alla Mostra del cinema di Venezia, dove Dreyer riceve il leone d’oro alla carriera. Giudizi molto positivi sull’opera sono espressi dai critici francesi.
Scrive Francois Truffaut
Ordet è un dramma della fede o meglio una favola metafisica. Ogni immagine di Ordet è di una perfezione formale che raggiunge il sublime. Nemmeno un centimetro quadrato di pellicola sfugge al controllo di Dreyer 2 .
E André Bazin:
Le opere di Dreyer appaiono come perle nell’ostrica : il loro orientamento é incomparabile ….C’é qui lo stesso ritmo della realtà come prova la prodigiosa scena del parto, uno dei più insopportabili momenti del cinema mondiale (insopportabile bellezza!). Ordet segue logicamente Vampyr e Dies Irae, ma lo porrei ancora più in alto 3 .
L’idea di girare un film su questo soggetto nasce già nel 1932 quando il regista vede per la prima volta a teatro il dramma omonimo di Kaj Munk , che lo colpisce profondamente. Passano più di vent’anni prima che egli realizzi Ordet. Nel film del 1955, come nel dramma, il vecchio Borgen, il sarto Peter, Inger, Mikkel, Johannes, il pastore, la piccola Maren hanno ognuno una propria immagine di Dio, che determina la loro diversa visione del mondo. In una situazione – limite che li pone di fronte alla morte – non alla propria ma a quella di un essere da loro molto amato – i protagonisti compiono un cammino che li porta alla comprensione del valore e della bellezza dell’esistenza, spesso velati nella vita quotidiana da crucci e preoccupazioni piccole e grandi.
In Ordet i protagonisti sono un giovane uomo, che ha studiato teologia, conosce la Scrittura ma è relegato ai margini della sua stessa famiglia a causa della malattia mentale che lo ha colpito, e una bambina di sette anni, che gli adulti considerano come un essere che ancora non può capire i grandi problemi della vita Saranno questi due personaggi le vivificanti forze del bene, capaci di essere tramiti di quello che Dreyer definisce “un’azione divina”.
2. La sequenza notturna
Nella sequenza di apertura – una panoramica sulla natura aspra dello Jutland che circonda la casa dei Borgen – compare in sovraimpressione la didascalia scritta a mano “Kaj Munk. Ordet”. È un omaggio all’autore del dramma. La prima inquadratura, che ci introduce nella casa attraverso un raccordo sonoro, è su Anders che si sveglia e osserva il letto vuoto del fratello. Lo vede poi attraverso la finestra mentre si allontana dalla casa. Il film inizia con un’assenza inquietante, che in questa prima scena spinge i membri della famiglia a seguire il figlio malato e a preoccuparsi per lui.
Ascoltato solo dai fratelli e dal padre, che gli sono andati dietro e lo guardano sgomenti, Johannes ripreso dal basso appare imponente come se parlasse a una folla.
Ascoltatemi, voi impostori… Iddio punirà la vostra mancanza di fede. Iddio vi punirà perché le vostre anime sono tiepide e non volete riconoscere in me il Cristo ritornato a voi secondo il comandamento di Colui che ha creato il cielo e la terra.
Queste parole sulla tiepidezza della fede richiamano argomenti discussi nel mondo protestante nella prima metà del ‘900 e sono vicine a quelle che Johannes riprenderà nel finale, dopo aver ritrovato la ragione. In questa sequenza lo squilibrio del personaggio è reso evidente dall’identificarsi con Cristo, dalla posizione del corpo che egli assume alla fine del discorso, dalla testa reclinata da un lato, dal brivido che lo scuote. È evidente che Johannes vive in una dimensione altra rispetto a quella della famiglia. Risponde alle domande ma i suoi occhi non si posano sui personaggi che lo interrogano. La discussione a tavola, dopo il ritorno a casa degli uomini della famiglia, ruota sul problema del figlio malato e della fede. La disposizione dei personaggi intorno alla tavola e i loro movimenti rivelano i rapporti all’interno della famiglia. Mikkel, che si sente ignorato dal padre, siede in disparte. Inger, quando rimane da sola col suocero, si china su di lui mettendogli affettuosamente una mano sulla spalla per consolarlo. Il vecchio Borgen esprime a voce alta la sua delusione:
riusciva così bene a scuola… quando ho visto le sue attitudini mi sono illuso che partisse da qui la scintilla destinata ad accendere nei cuori la fiamma di Cristo. Ho pregato, ho pregato con tanto fervore perché fosse lui il prescelto da Dio… ed ecco invece che cosa ho ottenuto.
La sequenza notturna si conclude nella camera da letto degli sposi. Mikkel è seduto sul letto. La moglie, che é in piedi e lo sovrasta, lo ascolta, gli accarezza la testa con la mano, lo chiama “mio piccolo grande bambino”. È lei nella coppia la persona più forte a cui l’altro si appoggia. Se l’immagine che ha il vecchio Borgen è quella di un Dio che dovrebbe risolvere dall’alto i problemi degli uomini, Mikkel, che si sente soffocato dalla bigotteria del padre, è portato ad allontanarsi da una fede che non trova riscontro negli eventi della realtà. Inger è la sola nella famiglia a vedere al di là della piattezza quotidiana una dimensione più alta, da lei percepita nei piccoli miracoli di ogni giorno.
3. Il mattino in casa Borgen
Ogni membro della famiglia è impegnato nelle faccende della fattoria. Viene costantemente sorvegliata la scrofa, che sta per partorire. È introdotto così in tono minore il tema del dare la vita che sarà centrale nella seconda parte del film. Inger è intenta a preparare i biscotti e il caffè, Mikkel va a lavorare nel canneto. La casa benestante e confortevole dei Borgen è riscaldata dalla luce e dal calore che emana dalla giovane sposa. Contenta dell’affetto che il marito le dimostra prima di uscire, la donna lavorando canta a bocca chiusa. Nel colloquio propiziatorio, accompagnato dai biscotti, dal caffè, dalla promessa di preparare le anguille marinate e perfino di dargli un nipote maschio, la donna cerca di convincere il suocero, seguace di Grundvig, ad aiutare Anders che vuole sposare la figlia del sarto, leader locale della Missione Interiore 4.
In tutto il film Dreyer lavora sopratutto sui piani lunghi.
(Nei piani lunghi) – scrive il regista – si crea per ogni scena una sorta di insieme, di unità, che permette agli attori di vivere i rapporti più intensamente 5.
Non c’è mimica facciale negli attori di Ordet – scrive Francois Truffaut lodando la perfezione formale del film – la loro recitazione consiste solamente nell’inclinare il volto in questo o in quel modo e nell’assumere all’inizio della scena un’espressione che non abbandoneranno più 6.
Il dialogo fra Inger e Borgen continua nella stalla, dove il vecchio si rifugia corrucciato e infelice. Quando esprimono i loro crucci, in Ordet i personaggi non guardano l’interlocutore ma rivolgono gli occhi verso il basso, come se per pudore si vergognassero della loro debolezza.
La stalla è un luogo più intimo del soggiorno nel quale i personaggi entrano e escono continuamente. Questo ambiente della quotidianità contadina è uno spazio adatto ad una confessione senza reticenze e senza interruzioni, che si svolge accanto a una creatura che sta per dare la vita ai suoi piccoli. Inger entra per portare al suocero il cappello e il cappotto che egli ha dimenticato e li sistema sul muretto che si trova alle spalle di lui. Si crea un triangolo di cui una delle punte è costituita da Borgen vestito di scuro seduto in basso, un’altra dal cappello e dal cappotto neri poggiati sullo steccato. Il vertice del triangolo è Inger in piedi, vestita di chiaro. La donna domina la situazione, offrendo conforto e affetto. Un fascio di luce trasversale scende dal cappotto fino alla manica di Borgen. E’ come se il vecchio ricevesse un po’ di luce dalla presenza della nuora.
Perché hai l’aria così avvilita? – Tutto va a rotoli in questa famiglia. Johannes sarà un disgraziato per sempre. e Mikkel mi ha deluso ancora più di lui… da anni ha rinnegato la fede dei suoi vecchi… E adesso anche Anders… Sono smarrito…
Nel film del ’55 la stalla è l’unico spazio che ha uno sfondo bianco molto illuminato. Durante il dialogo la donna, che prima è a destra del suocero, si sposta accanto all’altra finestrella. La metà sinistra dello schermo viene ad essere occupata dal muro bianco e quella destra da Inger protesa verso Borgen, che si rifugia nell’angolo in basso come se, messo alle corde, volesse uscire fuori campo. Inger guarda lontano, come se vedesse al di là delle mura della stanza e ricevesse da lì ispirazione per le sue parole. Un fascio di luce va a cadere sul viso di lei. Dreyer, ci mostra il personaggio a figura intera col volto splendente, come quando in casa ha pregato Dio perché la proteggesse nella giornata 7.
Sai che cosa penso io? Che ancora oggi avvengono infiniti miracoli e noi li ignoriamo: il Signore ascolta le nostre preghiere, ma preferisce operare di nascosto per evitare che se ne sparga la voce.
Il tema del miracolo appare qui nelle riflessioni sconsolate del capofamiglia e nella serena visione della nuora, capace di cogliere i piccoli miracoli dell’esistenza quotidiana.
4. La casa di Peter il sarto
In Ordet vediamo due soli interni: casa Borgen e il soggiorno e la cucina della famiglia Petersen. La sequenza si apre con un’inquadratura sull’insegna fuori della porta “Peter Petersen Skraedder”, accompagnata dal canto del sarto, che vedremo subito dopo intento a cucire seduto accanto a una finestra, che lascia entrare poca luce. Già il canto esprime una visione del mondo che dà poco valore alle gioie piccole e grandi della vita terrena per proiettarsi verso l’esistenza futura. L’ambiente in penombra è povero e triste, come è triste l’espressione di Anna, innamorata di Anders e prigioniera della forte volontà del padre. La stanza diventa sempre più buia man mano che si va avanti nel rito che riunisce i membri della Missione interiore. Tutto l’episodio rivela il senso di inferiorità di Peter rispetto alla ricca famiglia Borgen e il suo più o meno cosciente desiderio di rivalsa 8.
Dopo un susseguirsi di scene presentate in montaggio alternato torniamo nella dimora del sarto nel momento in cui egli predica solennemente ai partecipanti alla riunione, stando in piedi davanti a un tavolino sul quale poggia un grande cero acceso.
Non è un miracolo, Jensigne, che tu sia oggi tra noi sicuro di esserti conquistato la salvezza eterna? Non è un miracolo Gerda Thatcher che Iddio ti abbia guidato inducendoti a convertirti e a dedicargli tutta te stessa? … Non è un miracolo che io povero peccatore possa oggi da questo pulpito testimoniare davanti a voi?. Non è magnifico, dite, non è incredibile, non è sublime! 9.
Compiaciuto del suo ruolo di leader, Peter rivela qui un’altra concezione del miracolo: un atto di misericordia che Dio compie in favore dei membri del suo gruppo. La riunione è interrotta dall’arrivo di Borgen e Anders che si siedono e attendono di parlare col padrone di casa. Rimasti soli, Peter e Borgen discutono animatamente le loro posizioni, che sono quelle tipiche dei seguaci di Grundvig e dei membri della Missione Interiore. Quando giunge la telefonata che informa che Inger è grave, i due vengono alle mani, perché Peter nel suo fanatismo religioso augura a Borgen di “essere colpito duramente” e perfino che la nuora muoia, perché il Signore lo porti a redimersi 10.
5. La notte di veglia in casa Borgen
La scena si apre con l’angosciata telefonata di Mikkel alla casa del medico. A creare il pathos dell’episodio contribuisce il rapporto che si stabilisce fra il soggiorno e la camera da letto: lo spazio della lotta e del dolore e quello della veglia e dell’attesa. Per il regista è fondamentale mostrare il parto in modo diretto. Come afferma lui stesso,
“solo se lo spettatore riesce ad identificarsi con la partoriente e a partecipare (anche senza rendersene ben conto) al suo dolore, può veramente volere che la donna viva” 11.
Non ci viene risparmiato niente della sofferenza della protagonista. Mikkel tiene alta la lampada a olio per fare luce al medico. I movimenti delle mani del dottore rallentano quando egli dice di dover sacrificare il bambino. Sentiamo in sottofondo lo scricchiolio delle ossa che il medico deve spezzare per salvare la madre. Il catino, che Inger aveva comprato con ben altre intenzioni, serve per raccogliere i resti della creatura. Da questo momento Mikkel in preda ad un’ansia angosciosa si sposta più volte dalla camera al soggiorno, dove il padre e Anders attendono le notizie. Il vecchio Borgen si abbandona su una sedia accanto al tavolo rotondo su cui è accesa la lampada. Da sinistra entra Johannes. È una figura in penombra. Il suo modo di muoversi, il tono strascicato, l’abito sottolineano la sua condizione patologica. Tuttavia egli si rivela in questa notte estremamente percettivo e capace di predire con esattezza quello che sta per avvenire.
…finché un giorno apparve dinanzi a Lui munito di falce e clessidra
– Va a dormire, Johannes… Torna in camera tua e dormi
– Tu non lo hai veduto?
– Chi?… l’uomo che ha con sé falce e clessidra e se ne è andato con il bambino…
Mentre il padre e il figlio parlano, non si guardano. Le due figure formano una diagonale. Il punto più alto è costituito da Johannes in piedi sulla destra dietro il tavolo, quello più basso da Borgen seduto al di là del tavolo sulla sinistra. Il centro della diagonale è il lume acceso sul tavolo rotondo che divide i due personaggi. Sarà più tardi proprio la luce, di cui è portatore Johannes, il punto di incontro fra i due e sarà anche in questo caso il figlio la figura dominante. Come Dreyer sottolinea nella sceneggiatura, a tratti lo sguardo che il vecchio rivolge al figlio folle è “supplice e implorante”. La disgrazia che lo ha pesantemente colpito inizia a far cadere i risentimenti, le recriminazioni, i crucci e a fare affiorare un sentimento di amore e di compassione per tutti e tre i figli. È il momento del riavvicinamento a Mikkel, che ha bisogno della forza e dell’appoggio di lui e della veemente difesa di Johannes di fronte al pastore, che vorrebbe farlo rinchiudere. L’angoscia di Borgen è in parte alleviata dall’ingresso di Maren, che lo chiama “nonnino bello” e gli cinge le spalle. Quando il vecchio lascia la stanza per andare a vedere Inger, la figura in penombra di Johannes seduto occupa il centro dell’inquadratura. Maren gli si avvicina e si inginocchia su una sedia dietro di lui. Johannes è emarginato nella sua stessa casa. Anche Inger, prodiga di abbracci e di carezze, non lo tocca neanche una volta.
La bambina è l’unica che lo accarezza, gli mette le braccia intorno al collo, gli dimostra l’affetto fiducioso di chi è sicuro di essere ricambiato. Da lei Johannes accetta di essere chiamato “zio”, cioè quello che egli effettivamente è. Maren nella percettività e sensibilità dei suoi sette anni è in grado di cogliere l’essenza profonda, il bene che è racchiuso dentro di lui. I due uniti – lei chiara col volto in luce, lui in penombra – formano in questo momento una figura triangolare, il cui vertice è la testa della bambina. In sottofondo continuano i rumori della vita quotidiana – il battito del pendolo, il soffio del vento – ma è come se i personaggi non li sentissero. Comincia a questo punto un piano sequenza di quattro minuti, il più stupefacente del film, durante il quale Johannes sollecitato dalle tenere richieste della bambina, acconsente a prendere in considerazione la possibilità di riportare in vita la giovane donna, di compiere un miracolo. La macchina da presa gira intorno all’uomo e alla bambina Durante questo movimento di accerchiamento l’obbiettivo fa una panoramica in senso inverso per mantenere la coppia al centro dello schermo Lo sfondo sfila da sinistra a destra da una porta del soggiorno all’altra. In realtà non è la macchina da presa che gira intorno a loro, ma è l’insieme costituito dalla macchina da presa e dai personaggi che gira lentamente, maestosamente 12 come se le figure avessero scelto non di essere filmate successivamente sotto diverse angolazioni, ma di esserci sempre di fronte e di levitare, liberi dalla pesantezza, portati dalla grazia. I due personaggi sfuggono allo spazio e al tempo, sono in una dimensione di sogno, di amore, di speranza, di fede. Nella penombra di una casa dominata dall’angoscia e dal dolore, il regista evidenzia e rende omaggio alle forze portatrici del bene, della
luce, della vita. L’elemento trainante è la figura della bambina, spinta dal desiderio primario di avere vicino a sé la madre di cui ha ancora tanto bisogno. È un’anticipazione della combinazione di forze che entrerà in azione più tardi. La follia di uno, la piccolezza dell’altra rendono i due personaggi ‘deboli’. Sono queste le creature “scelte e predilette da Dio per confondere i sapienti” 13. Mentre Johannes esce di campo tenendo la nipote fra le braccia, Borgen rientra nel soggiorno e si abbandona sulla sedia, che è accanto allo scrittoio. La sua schiena è rivolta verso la porta della stanza dove Inger lotta per la vita. È come se inconsciamente volesse difendere la nuora, impedendo il passaggio all’uomo con la falce, di cui ha parlato Johannes. Nonostante la rassicurante diagnosi del medico,che se ne va dopo aver annunciato che la paziente è fuori pericolo, poco dopo Mikkel viene ad annunciare che Inger è morta nel sonno. Il capofamiglia reagisce ripetendo meccanicamente la frase di Giobbe
“Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”. (Gb 1,21,22)
Mikkel sfoga la sua agitazione percorrendo a grandi passi il soggiorno. Johannes, fedele alla parte che nella sua pazzia si è assegnato, chiede di vedere dove Inger “è stata deposta”.
Il suo stato mentale è spiegato dettagliatamente da Dreyer nella sceneggiatura:
Uno strano cambiamento si è prodotto in lui. La tensione della sua mente malata, estatica, è aumentata e la sua superbia, che non incontra resistenze, è salita ad altezze vertiginose e continua a salire sino a che la tensione diventa così forte che il crollo psichico è inevitabile … Fa alcuni passi con l’intenzione di invitare Inger ad alzarsi, ma all’improvviso si arresta con lo sguardo imprigionato dal viso di Inger. È come se tutta l’alterigia e la coscienza di sé sfuggissero da lui … non resta che un piccolo, povero uomo. 14
Il trauma fa sparire l’alterigia di chi si crede onnipotente e rende il personaggio consapevole della sua estrema debolezza di “piccolo uomo”, che, dopo la temporanea perdita di coscienza, sarà finalmente accettata. La sequenza successiva si apre con un’inquadratura del certificato di morte accompagnata dalla musica. Con uno stacco, dall’esterno della casa dei Borgen la macchina da presa riprende Johannnes in controluce intento a scrivere nella sua camera. Lo vediamo poi uscire dalla finestra mentre una panoramica a sinistra ci mostra Anders addormentato, sopraffatto dalla stanchezza e dal dolore.
Johannes è ormai consapevole di non essere lui la luce del mondo. Non usa più i sandali, ma gli stivali. Lascia scritto:
“Io me ne vado e voi mi cercherete, ma là dove io vado voi non potete venire”(Giovanni 13,35).
Sa di utilizzare un brano evangelico, che accompagna con la citazione dei versetti. Inoltre non esce dalla porta per predicare agli altri come aveva fatto nella prima sequenza, ma passa furtivamente dalla finestra per cercare la solitudine e ritrovare pienamente se stesso. Iniziano le sue ricerche. In un’inquadratura accompagnata dalla musica e dal belato degli animali, Borgen chiama il figlio dall’alto di una duna. Sono spariti i panni al vento, segno di vita, delle cure delle attività femminili. La figura del vecchio ripreso di spalle spicca contro il cielo. Le braccia sono abbandonate lungo i fianchi in un gesto di resa sconsolata alla volontà di Dio. In una serie di brevissime sequenze introdotte da tendine, i membri della famiglia e altri personaggi chiamano Johannes inutilmente percorrendo la campagna.
6. Il giorno del funerale
L’episodio si apre con le inquadrature degli annunci funebri sui giornali, di una partecipazione-ricordo della defunta listato a lutto, del lento movimento del carro funebre che si dirige a casa Borgen. Dreyer insiste su questi dettagli, che richiamano alla mente di chi vede il film momenti personalmente vissuti e la tristezza che li ha accompagnati. È lo stesso regista a spiegare quello che si propone in un manoscritto conservato nell’archivio a lui dedicato:
Ordet deve portare gli spettatori ad accettare in silenzio l’idea dello scrittore – così come viene espressa nell’ultima parte del film – e cioè che colui che è sufficientemente forte nella fede ha anche il potere di operare miracoli. Gli spettatori devono lentamente venire preparati a questo fine, devono essere posti in uno stato d’animo spirituale. Per predisporli al miracolo devono essere portati allo speciale stato d’animo di tristezza e di malinconia a cui la gente arriva quando presenzia ad un funerale …. … essendo portati a pensare alla morte, sono anche condotti a pensare alla propria morte, e perciò (inconsciamente) sperano nel miracolo e si chiudono alla loro solita disposizione allo scetticismo. Gli spettatori devono essere portati a dimenticare che vedono un film e ispirati, o se si preferisce ipnotizzati, a credere di essere spettatori di un’azione divina, così che se ne allontanano silenziosi e convinti 15.
Nell’immagine che apre la sequenza veniamo introdotti nel salone dove è collocata la bara. Per le pareti di questa stanza grande e vuota Dreyer sceglie un grigio chiaro che, come vedremo, ha una particolare funzione. La luce bianca, ovattata, che filtra attraverso le finestre velate da lenzuola, favorisce un’atmosfera di silenzioso raccoglimento. Fin dalla prima inquadratura il codice cromatico esalta il contrasto fra il nero – l’abito a lutto dei Borgen, il tappeto e la sponda della bara, su cui è poggiata una corona scura, e il bianco – la luce che filtra attraverso le tende e che avvolge Inger, il cuscino su cui poggia la testa di lei, il vestito, la fodera della bara. Un lento carrello all’indietro rivela le perfette simmetrie che dominano l’ambiente. Ai due lati del feretro vediamo Borgen rigido, in piedi con lo sguardo sul viso di Inger e Anders che accende le candele: due figure in nero, due candelabri a sei braccia, due sedie vuote dietro i personaggi. È una simmetria austera, severa, che riflette lo stato d’animo di chi si trova nella camera e l’ha preparata. Nei momenti dell’esistenza, in cui domina il dolore e i ritmi della quotidianità sono spezzati, è possibile trovare conforto in un ordine meticoloso, nel preoccuparsi che niente sia superfluo o fuori posto. Si passa con uno stacco a una panoramica del soggiorno, che è stato fin qui il centro di casa Borgen. Vi sono riunite le molte persone che sono venute per partecipare al funerale. Attendono cantando un salmo, bevono il caffé. Verranno lasciate per sempre in questa attesa, al di là della soglia dove si compie l’evento. Il salone si presenta come un mondo a sé, che si contrappone agli ambienti quotidiani. Il regista vi lascia entrare solo pochi personaggi, i cui incontri sullo sfondo delle pareti vuote sembrano avvenire fuori del tempo e dello spazio. Il primo a entrare è Mikkel. Col suo ingresso il canto che veniva dal soggiorno tace. Nel silenzio della stanza risuonano i passi del personaggio, che come gli altri membri della famiglia è vestito per l’occasione. Come nota Truffaut, in questo mondo contadino che sta per assistere a qualcosa di straordinario risuona
“il rumore caratteristico delle scarpe nuove, delle scarpe della domenica” 16.
I dettagli della quotidianità rendono più intenso il contrasto con l’evento che sta per verificarsi. Mikkel si avvicina al padre. Gli si mette al lato, ma gli volta le spalle mentre pronuncia battute taglienti, per sfogare in qualche modo l’angoscia che ha dentro 17. È l’unico dei Borgen che non è riuscito a rassegnarsi a una morte che è per lui devastante. Entrano il medico e il pastore in abito talare. Mettendosi dietro la bara nella spazio fra le due finestre, esattamente al centro della parete, il prete pronuncia un discorso almeno questa volta adatto alla circostanza, tanto delicato da suscitare il ringraziamento sincero di Mikkel. Varca la soglia della stanza anche il sarto, che la disgrazia dei Borgen ha reso umile e consapevole degli errori commessi. Lo abbiamo visto in una delle prime sequenze di questo episodio intento a leggere la Sacra Scrittura, seduto al tavolo utilizzato nei momenti di preghiera e di predicazione-testimonianza. La morte della giovane donna, nuora del suo amico-nemico, lo mette in crisi e lo porta a riflettere. In questo momento la parola evangelica diventa per lui viva, parla alla sua coscienza, lo fa vergognare della sua debolezza, lo spinge al riscatto 18. A Mikkel, che si difende con battute taglienti da tutto quello che può provocare in lui ulteriore confusione e dolore, Peter risponde con una proposta concreta per alleviare la sofferenza della famiglia in lutto:
Non mi dilungherò in chiacchiere inutili. Dico solo che il posto che Inger ha lasciato non rimarrà vuoto. Anna, avvicinati cara… lei resterà qui. Ormai lei è vostra. Non mi rimane che il Signore, ma da lui non mi separerò più.
Il conflitto fra gli appartenenti a gruppi religiosi diversi è risolto grazie alla riflessione sulla parola evangelica in un momento di coinvolgimento emotivo, che favorisce l’apertura e l’ascolto. Nell’ultima parte della sequenza i due vecchi restano sempre insieme nella dimensione sospesa creata dallo sfondo vuoto, finalmente rappacificati e concordi anche per quanto riguarda l’immagine di Dio, che li aveva in precedenza divisi.
Giunge il momento dell’addio prima della chiusura del coperchio. Mikkel affranto si lascia andare su una sedia e piange ripiegato su se stesso. Poi si avvicina alla bara e si inginocchia, mentre il padre, che si china anche lui verso il volto di Inger fino a toccare quasi la testa del figlio, lo esorta ad accettare il fatto che che l’anima di lei non è più lì. Mikkel gli risponde con parole di accorato dolore:
Ma il suo corpo, io amavo anche il suo corpo… Addio, Inger, amore mio. Come farò senza di te?
A questo punto i desideri che Inger aveva espresso nella prima parte del film sono realizzati. In Ordet chi vive un evento tragico, che lo tocca nel profondo e lo spoglia di tutto ciò che é superficiale, ha la possibilità di vedere in modo limpido. Si dissolvono i crucci, le ripicche, i conflitti che avvelenavano la vita. La morte della giovane donna dà frutto, ricomponendo quello che fino a quel momento era rimasto diviso. Il padre manifesta a Mikkel il suo affetto, il sarto compie un gesto generoso, che lo riavvicina a Borgen e rende possibile il fidanzamento di Anna e Anders, che aveva scatenato il piccolo conflitto. Come afferma Dreyer, Ordet è una celebrazione della vita e dei suoi valori – fin qui in senso puramente umano – che egli offre a tutti gli spettatori, qualunque sia la loro visione del mondo.
C’è tuttavia un ultimo ingresso nella stanza, che, come nel dramma, spinge questa celebrazione a un livello più alto. Dreyer, sostenuto da Munk, sceglie di farci assistere ad “un’azione divina”. Quando già il capofamiglia ha aperto la porta per fare entrare gli invitati, emerge dalla penombra Johannes. Da ora in poi il suo volto è in luce. Il suo corpo é diritto, i passi sicuri. Egli fissa con occhi intelligenti e vivi il volto del padre, lo chiama “papà”, gli conferma che ha ritrovato la ragione. Sullo sfondo della parete vuota anche questo incontro sembra svolgersi in una dimensione sospesa, fuori dello spazio e del tempo consueti. Il personaggio è pienamente padrone di sé. Non ha cambiato però le sue idee sulla povertà del mondo spirituale che lo circonda:
Voi offendete Dio con la vostra tiepida fede. Se voi lo aveste implorato, egli vi avrebbe esaudito… tra i credenti non c’è nessuno che creda veramente … Inger, tu dovrai marcire perché il mondo è marcio.
A questo punto Maren, che ha seguito ansiosa la scena, si svincola dalla mano di Karen e corre da Johannes. I suoi sette anni sono troppo pochi perché possa formulare da sola la supplica tanto importante e straordinaria, di cui lo zio le ha parlato nella notte di veglia. La bambina chiede l’aiuto della persona a cui è legata da un affetto ricambiato e da una fede che lei percepisce grande non meno della sua. Tira per la manica Johannes e lo esorta energicamente ad agire:
Sbrigati zio. Fai presto, ti ho detto!…
– I fanciulli, i fanciulli, gli unici che siano ancora puri…”
– “Fai presto, ti ho detto”
– “Sei convinta che potrei farlo?”
– “Ma certo che puoi”…
Johannes sente che la forza gli ritorna.
La tua fede è immensa. – dice alla bambina – Sarà essa a darmi la forza necessaria. Guarda sempre tua madre, quando io pronuncerò il nome di Gesù, lei ritornerà in vita.
In questo momento nella stanza i personaggi sono divisi in coppie: Anders e Anna, Borgen e Peter, il pastore e il medico, che più aperto del suo vicino, lo ferma quando questi scandalizzato vorrebbe zittire Johannes. Il miracolo che scuote il loro scetticismo è anche a loro beneficio, ma Dreyer non li inquadrerà più. Soltanto Mikkel è solo con la sua disperazione. La sua partner è immobile nella bara. Nella stanza Johannes e Maren sono le uniche persone vestite di chiaro. Si tengono per mano. L’uomo guarda avanti, poi alza gli occhi verso l’alto per rivolgersi a Colui a cui rivolge la supplica. I loro volti sono illuminati. In questo momento Johannes e Maren non fanno esperienza della presenza di Dio e della gioia e della luce che la accompagnano, ma si affidano a Lui con tutto il loro essere con una fede grande, nuda. Maren è estremamente seria, concentrata nel compito che lo zio le ha affidato. In una situazione dove domina il dolore, la fiducia assoluta della bambina sostiene quella dell’adulto, consapevole di chiedere qualcosa che non è impossibile, ma che è comunque fuori della norma, una rara eccezione. 19 Nell’invocazione non c’è alcuna superbia, ma solo umiltà e fede.
Ti scongiuro, Signore, se ciò è possibile, permettile di ritornare alle sue creature. Ispirami la parola, la parola, che ridona la vita. Inger, nel nome di Gesù Cristo io ti ordino… alzati!.
L’ultima parola – “alzati” –, che risuona quando Johannes è già fuori campo, dà inizio ad un’inquadratura che dura venti secondi e che appare lunghissima.
In un profondo silenzio dall’immobilità assoluta di un corpo senza vita si passa a un movimento appena percettibile – il dilatarsi delle narici quando il respiro riprende a scorrere – e poi a quello più evidente delle mani intrecciate, che la donna scioglie. Il regista ci fa vivere l’evento prima di tutto attraverso la reazione della bambina. Come scrive Jean Sémolué 20, il miracolo si legge sul viso di lei: il candore dello sguardo, la tranquillità del sorriso colgono ciò che succede come qualcosa che é allo stesso tempo meraviglioso e normale. In un progressivo processo di sottrazione, dopo aver agito, anche Maren e Johannes si spostano fuori campo. Non li vedremo più. Mikkel si avvicina alla bara e si china sulla moglie. Assistiamo a un’altra inquadratura lunghissima e silenziosa, in cui niente sembra accadere. Poi con estrema lentezza gli occhi della donna si aprono e la sua mano si solleva per accarezzare il volto del marito. Inger non vede gli altri, ma solo il viso di lui, che la attira a sé e la solleva abbracciandola.
Con uno stacco la macchina da presa si sposta sui due vecchi che commossi e concordi celebrano il Signore.
“Borgen! Allora Dio è sempre lo stesso: il Dio di Elia eterno e immutabile” dice Peter all’altro che guardandolo in faccia ripete “Sì, eterno e immutabile” 21.
Questa è la loro ultima immagine nel film. La prima parola che esce dalla bocca di Inger è una domanda; “Il bambino?”. La risposta di Mikkel – “egli vive in cielo accanto a Dio” – le rivela che lui ha ritrovato la fede. Anders rimette in moto l’orologio a pendolo. Da ora in poi sentiamo in sottofondo il suo ticchettio, che accompagna il ritorno a una quotidianità tanto più ricca di quella passata. Appoggiandosi al corpo di Mikkel, Inger lo bacia. Attraverso questi baci sensuali e appassionati la donna manifesta la sua sete di vita, l’amore che lega la sua anima e il suo corpo all’uomo che la tiene fra le braccia. Lo sfondo dietro di loro – il bianco delle tende delle finestre – è luminoso. Rispetto a questo chiarore i due personaggi appaiono leggermente in ombra. Il volto della donna, che vediamo in primo piano, è smagrito, segnato dall’esperienza vissuta. Il suo sguardo è ancora velato e lontano. Inger emerge dall’ombra di quello che ha vissuto per proiettarsi con stupore e riconoscenza verso il dono straordinario, che le è dato di nuovo. Nell’ultima inquadratura, accompagnata dalla musica, la macchina da presa stringe sul volto di lei, che ripete due volte “la vita, la vita”, per chiudere subito dopo su una dissolvenza in nero. La gioia che pervade il finale non è prorompente, ma intensa, profonda, pervasa di stupore.
È l’esperienza di cui scrive Lutero nel commento al Magnificat:
Quando Dio si conosce come un Dio che soccorre i poveri, i disprezzati (Johanes), i miseri, gli afflitti (Mikkel, il vecchio Borgen) e quelli che non sono nulla (la piccola Maren), il cuore trabocca dalla gioia e palpita e sussulta… 22.
È la prima e l’unica volta – anche se lui avrebbe voluto altrimenti 23 – che Dreyer conclude un film mostrando con estrema compostezza e rigore un’“azione divina”. Qui assistiamo a un miracolo, che porta una normalità paradisiaca in un piccolo mondo che già aveva conosciuto tutto questo, ma che non era stato in grado di comprenderne il valore. Se l’idea di fondo è quella del pastore drammaturgo danese, il linguaggio cinematografico di Dreyer ha un’energia e un’intensità capace di toccare lo spettatore percettivo nel profondo, di renderlo testimone partecipe di un evento, che lo porta prima al silenzio raccolto, poi alla riflessione sul significato della vita e della morte. In questo luminoso finale è racchiusa la visione del mondo espressa dal regista nella sua vecchiaia dopo un’esistenza travagliata, ma anche piena e feconda:
Amo profondamente la vita, tutti gli esseri veramente vivi. I miei film vogliono essere una serena meditazione sul grande mistero della vita, non sulla morte, negazione della vita.
Fonte: http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/11/cinema-e-spiritualita-ordet-di-carl.html
Note:
1 Cfr. M. Drouzy, Carl Th. Dreyer nato Nilsson, Ubulilbri, Torino 1990 , p. 239. Drouzy aggiunge: “La personalità di Munk non era del tutto estranea a questo coro di lodi … Munk era stato fucilato durante l’occupazione (nazista) e il suo ricordo era ancora vivo. La piéce continuava ad essere di tanto in tanto rappresentata. Il fim di Dreyer ne prolungava e amplificava l’eco”.
2 F. Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 1978, p. 54..
3 A. Bazin, Il cinema della crudeltà, ed. Il Formichiere, Milano, 1979, p. 38.
4 Per la differenza fra i seguaci di Grundig e quelli della Missione Interiore cfr. M. Shwarz Lausten, A Church History of Denmark, Ashgate Publishing Company, USA, 2002. Per Grundvig cfr. le pp. 206-220, per la Missione interiore le pp. 242 e seg.
5 Dreyer, Intervista, cit., p. 24-25: “Ordet – afferma il regista in un articolo – è il film che preferisco … le ampie sequenze delle immagini, ora vicine ora lontane, scorrono compostamente, rese possibili dalla macchina in movimento, che mi permise un filo continuativo” (C. Dreyer, Molto lavoro mi aspetta, Cineforum », maggio 1964, in C. Dreyer, Cinque film, cit., p. 444.
6 F. Truffaut, op. cit., p. 54.
7 Mentre attende il suocero dopo che ha terminato le sue faccende, Inger si siede per un momento. Il suo viso rivolto verso l’alto è in piena luce mentre pronuncia le parole “Signore Iddio, aiutami anche oggi come fai sempre”.
8 “Avrebbe i suoi lati buoni diventare suocero del giovane Borgen – dice Peter alla moglie – Mi stavo chiedendo se non fosse possibile ad un povero sarto di paese guidare il ricco Borgen verso il cielo … Non cederò alla tentazione del demonio. Ho capito che ero più ispirato dalla vanità che dal desiderio di redimere un’anima” (Script, pp. 186-187).
9 Ibidem, p. 197.
10 Ibidem p. 206
11 Ho tratto questa citazione dalla nota di commento al film in AAVV, Dreyer, Udine 2003, pp. 167-168.
12 Jacques Aumont, che analizza questa sequenza, dice che “la doppia sedia su cui stanno Johannes e la bambina deve essere stata collocata insieme alla macchuina da presa sopra una piccola piattaforma rotante” (cfr. J. Aumont Vanités, migrations, in “Cinématheque”, 2, 1999, pp.11-12.
13 Cfr. I Cor 1,27: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio”. E’ un brano spesso citato da Lutero che influenza i film di Dreyer. Cfr. il mio libro Il cinema di Dreyere la spiritualità del Nord Europa, Marsilio, Venezia, 2011.
14 C. Dreyer, Sceneggiatura, cit., pp. 264-265.
15 Il manoscritto fino ad allora inedito è stato citato per intero da Ole Storm, Introduzione, cit., p. 17 (il corsivo è mio).
16 F. Truffaut. op. cit., p. 55.
17 “Sarà un gran funerale, papà”, Bisognerà che quella gente finisca di bersi il caffè”, “L’importante per te è che la cerimonia riesca bene”.
18 Il sarto legge il brano di Matteo che segue immediatamente le beatitudini: “Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con lui, poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23).
19 Il testo biblico contempla questa possibilità. Leggiamo nelle istruzioni di Gesù ai discepoli in Mt 8, 8-10: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni” (il corsivo è mio).
20 J. Sémolué, Dreyer, Parie, Editions Universitataires, Paris, 196.
21 Borgen e Peter si riferiscono all’episodio del libro dei Re (Re 17, 17-24), in cui Elia compie il miracolo di resuscitare il figlio della vedova di Zarepta di Sidone: “(Elia) invocò il Signore. “Signore, mio Dio, forse farai del male a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?”. Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: “Signore, Dio mio, l’anima del fanciullo torni nel suo corpo”. Il Signore ascoltò il grido di Elia; l’anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere”.
22 M. Lutero, Scritti religiosi, Bari, Laterza,1958, pp197-200.
23 Il più grande desiderio di Dreyer era girare il film Gesù, basato su episodi tratti dai quattro vangeli.
Simonetta Salvestroni
Simonetta Salvestroni insegna Storia e Critica del Cinema presso la Facoltà di Lingue dell’Università di Cagliari. Da molti anni si occupa dei linguaggi dell’arte. A partire dal 1979 ha lavorato col semiologo russo Jurij Lotman. Ha curato, tradotto e introdotto i volumi Testo e contesto (Laterza 1980) e La semiosfera (Marsilio 1985) e ha scritto numerosi articoli su Lotman, Bachtin, la semiotica russa sulle riviste «Strumenti critici», «Intersezioni», «Alfabeta». Ha pubblicato nel 2000 il volume Dostoevskij e la Bibbia (Qiqajon), che è uscito anche in russo e nel 2004 in francese. Nel 2005 ha pubblicato il libro Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa (Qiqajon) e nel 2007 la sua traduzione russa, Il cinema di Dreyer e la spiritualità del Nord-Europa” ( Marsilio, Venezia 2011) e “Il cinema di Werner Herzog e la Germania (Archetipo libri, Bologna 2013).