Spesso si ritiene che l’uso del film a scuola sia una sorta di intermezzo piacevole se non ludico nel noioso scorrere delle lezioni scolastiche. Una sorta di lezione di serie B, quasi una perdita di tempo rispetto ad altre modalità didattiche più nobili. Forse per la mia “cinefilia”, sicuramente perché ho sperimentato, in questi anni, la forza e la validità dello strumento cinematografico come strumento di conoscenza, di confronto, di dibattito, di crescita credo che il film sia un linguaggio e uno strumento che non possiamo non prendere in considerazione.
Certo non può ridursi ad unica proposta. Questo lo ritengo scontato.
Da considerare inoltre il tempo esiguo nel quale è collocata l’ora di religione per cui nel tempo dal film ho sempre più preso in considerazione i cortometraggi oppure mi sono concentrato su alcune scene di film debitamente lette ed approfondite.
Con queste premesse cito ora la riflessione di Lino Ferracin e Margherita Porcelli che sicuramente potranno aiutare chi legge queste pagine ad approfondire l’argomento.
Grande è la magia del cinema e formidabile la sua capacità di motivare all’azione, di portare alla riflessione o di manipolare l’emotività. Il mercato è ricco di offerte: c’è uno schermo che chiude, che separa, che illude di un mondo migliore diverso da quello che sta al di là delle nostre sicurezze e delle nostre ricchezze assediate e c’è uno schermo che apre, che guarda al di là, che racconta con occhi altri e ci mette in empatia con l’altro che vive, gioisce o soffre; un cinema che tendenzialmente, se finge o inventa, fa come la poesia che, nel momento della metafora o dell’immagine pura, scava nell’uomo alla ricerca di un senso nuovo con cui affrontare l’inevitabile.È questo il cinema che vorrei proporre, andando a cercare nelle produzioni del nostro paese o in giro per il mondo quelle finzioni che ci aiutino a guardare meglio fuori e a scavare meglio dentro, per far sì che l’identità non si scontri con l’altro o non si definisca contro la differenza, ma che, anzi, proprio il dire “io” permetta meglio di dire “noi”, rispettando il “tu”. Così credo che il cinema possa, in positivo, raccontarci storie esemplari di uomini e comunità o, in negativo, rappresentare fallimenti, follie, sconfinamenti di limiti senza più ritorno, fino a provocare in noi una risposta di rifiuto morale. I film possono aiutarci e aiutare a riflettere sulla nostra partita sul tavolo del mondo e sul tavolino della nostra vita. L’intercultura, come già spiegato precedentemente, è un passo avanti rispetto alla multicultura che si limita a riconoscere, a mettere accanto, sancendo un dato di fatto; l’intercultura è il tentativo di andare oltre, riconoscendo nell’altro una pari dignità e capacità di identità; è un cercare l’incontro a un livello più profondo, che, rispettando le ricchezze che ci connotano come individui e come culture, colga nell’altro radici, sensibilità, valori, tradizioni, gesti, segni, significati che ci rendono fratelli e membri di un’unica umanità. L’intercultura riconosce all’altro la dignità e il diritto al suo sguardo sulla realtà, sulla sua storia e sul mondo. Non esiste infatti la realtà se non attraverso un linguaggio, una cultura che la strutturi e la interpreti. Le parole, i gesti, i riti, le feste sono tracce di senso che ogni uomo, da solo e in gruppo, getta come una rete sul caos del mondo per dare ordine, per mettere in fila, per trovare un significato che aiuti a vivere dando al presente il suo senso tratto da un passato e gettato verso il futuro. Applicando questo principio al cinema, possiamo dire che il film non è riproduzione della realtà ma una macchina che struttura il mondo suggerendo chiavi di lettura, costruendo miti che danno significati, rappresentando storie fittizie che sembrano più vere di quelle che vive il tuo vicino e in più propongono interpretazioni e stili di approccio. Il cinema è uno sguardo sul mondo che nasce da un progetto ideologico di ricostruzione del reale; è un oggetto culturale frutto di un’elaborazione che seleziona nella realtà elementi portatori di significato e li struttura per un significato superiore. Il film infatti permette agli autori, raccontando una storia, di presentare al mondo il loro modo di pensare la realtà, i propri valori, i propri giudizi sugli altri; detto in una parola, la propria ideologia. È pertanto uno strumento efficace per farci incontrare l’oggetto di un’altra cultura, ma nello stesso tempo è condizionato dal fatto di essere frutto di una mente altra, di cui non possiamo cogliere pienamente la concezione del reale. È uno strumento che mentre si offre si sottrae. Questo processo creativo va individuato e interpretato per poter cogliere esattamente il contenuto della comunicazione filmica. Come ogni tipo di comunicazione artistica, il film non è mai del tutto razionalizzabile, ma permette approcci interpretativi diversi a seconda delle prospettive ideologiche e dei momenti storici all’interno dei quali si interpreta il messaggio. Un’interpretazione che tenda ad essere il più possibile corretta deve innanzitutto rendere coscienti del proprio bagaglio ideologico, delle proprie categorie di valutazione e giudizio. In secondo luogo, occorre passare a un ascolto dell’altro; ascolto aperto a una diversità che potrebbe anche non essere pienamente colta e mettere in discussione le certezze acquisite. Ma se questo faticoso e rischioso processo nasce all’interno della decisione di riconoscere all’altro il diritto di porsi come altro da me, così come io faccio di fronte al mondo, allora dall’incontro potranno più facilmente scaturire le possibili vie per costruire insieme una situazione nuova. A differenza della lingua scritta che utilizza simboli convenzionali e li dispone in forma lineare e sequenziale, richiedendo al fruitore di ripercorrere lo stesso tracciato quasi come in un tunnel, il linguaggio cinematografico utilizza rappresentazioni di significati che sono in analogia con il reale e che vanno colti nella simultaneità e decodificati utilizzando il pensiero associativo. Simultaneità di significanti appartenenti ad aree diverse: sonora, visiva, linguistica, che interagiscono nell’autonomia e nella reciproca influenza; ogni elemento che costituisce il momento cinematografico significa di per sé e carica di elementi connotativi nuovi gli altri elementi. A ciò si aggiunge l’elemento temporale che dinamizza lo spazio: la realtà fisica dell’immagine sullo schermo è per ciascun istante solo fissità spaziale, mentre nel tempo è un continuum di movimenti. Ogni elemento del messaggio filmico: l’iconico, il sonoro, il linguistico, è strutturato da una cultura, e introduce a una cultura. Non è quindi possibile una lettura lineare, non è sufficiente una singola interpretazione individuale, ma diventa necessaria una lettura associativa, di incontro: l’attività di costruzione e di lettura di un messaggio filmico è metafora di una cultura che si costruisce nell’incontro, nel reciproco apporto di autonomi e reciproci significati.
Lino Ferracin – Margherita Porcelli, AL CINEMA CON IL MONDO – Quaderni dell’interculturalità n. 15, EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA