La storia di un uomo, di un prete, di un testimone, di un profeta del nostro tempo: don Pino Puglisi ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno.
Padre Pino Puglisi è stato proclamato beato il 25 maggio 2013.
Questo testimone lo presento attraverso il film che il regista Roberto Faenza gli ha dedicato: Alla luce del sole .
Cast tecnico
Soggetto: Roberto Faenza
Sceneggiatura: Roberto Faenza
In collaborazione con: Gianni Arduini, Giacomo Maia, Dino Gentili, Filippo Gentili, Cristiana Del Bello. Con la testimonianza di Suor Carolina Iavazzo, Gregorio Porcaro.
Regista: Roberto Faenza
Produttore: Elda Ferri
Autore Musiche: Andrea Guerra
Direttore della Fotografia: Italo Petriccione
Montatore: Massimo Fiocchi
Fonico: Mario Dallimonti
Scenografo: Davide Bassan
Costumista: Sonu Mishra
Organizzatore Generale: Silvia Scerrino
Truccatore: Maurizio Nardi
Parrucchiere: Ferdinando Merolla
Supervisore post produzione: Franco Casellato
Produttori esecutivi: Claudio Grassetti, Giulio Cestari
Durata: 90’
“Dio ha detto: non uccidere! L’uomo, qualsiasi agglomerazione umana o la mafia,
non può calpestare questo diritto santissimo di Dio.
Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo
Cristo che è vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili:
convertitevi! Per amore di Dio. Mafiosi convertitevi.
Un giorno verrà il giudizio di Dio e dovrete rendere conto delle vostre malefatte”.
(Giovanni Paolo II, Agrigento 9 maggio 1993)
“Imputato, dica alla Corte perché l’avete fatto”.
“Quel prete prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la sua parola, ci rompeva le scatole”.
Era un uomo solo, disarmato.
Per fermarlo lo chiamarono padre, perché era un sacerdote.
Salvatore Grigoli, l’assassino, 28 anni, 13 omicidi alle spalle, teneva in pugno una pistola col silenziatore. Un altro, mentendo, disse: “è una rapina”. L’uomo disse solo tre parole: “Me lo aspettavo”.
Sorrise, come faceva sempre con tutti. E fu l’ultimo dei suoi sorrisi.
Chiamato nel 1990 dal vescovo di Palermo a occuparsi della parrocchia di un quartiere alle porte della città, Brancaccio, in meno di due anni riesce a costruire un Centro di accoglienza e coadiuvato da un gruppetto di volontari, giorno dopo giorno raccoglie dalla strada e dalla perdizione decine di piccoli innocenti.
Presto capisce che per incidere in quel tessuto disgregato bisogna fare e dare di più. Significava scontrarsi contro l’inerzia e l’incomprensione della burocrazia locale: per avere una rete fognaria, una scuola, un distretto sanitario, tutte cose che a Brancaccio mancano da sempre. Inevitabilmente il suo percorso lo porta a entrare in conflitto con gli interessi del potere mafioso, che da decenni domina la vita quotidiana del quartiere. Sono gli anni delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, dove nello spazio di pochi mesi perdono la vita i giudici Falcone e Borsellino insieme a tanti altri. Proprio gli stessi clan (mandanti i fratelli Graviano, boss di Brancaccio, complici neglia ttentati Falcone, Borsellino e nelle stragi di Roma, firenze e Milano del 1992-93) che organizzano le stragi si trovano di fronte quel prete indomabile, quel parroco che insegna ai ragazzi a credere in un mondo diverso, a non sottostare alla sopraffazione.
Lo avvertono: bruciano le case dei suoi collaboratori, incendiano la chiesa; lo minacciano, cercano di fare il vuoto attorno a lui, ma la sua fede non cede alle intimidazioni. E allora per toglierlo di mezzo non resta che la strada della viltà estrema.
Questa è la storia di don Giuseppe Puglisi, ricostruita dopo dieci anni di ricerche, testimonianze, confidenze.
Fu assassinato il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, perché sottraendo i bambini alla strada, li sottraeva al reclutamento dei boss, che nel rione di Brancaccio, dove era nato, hanno creato da tempo immemorabile un vero e proprio vivaio di manovalanza criminale. Ma se don Puglisi fu giudicato da Cosa Nostra una fastidiosa presenza della quale liberarsi brutalmente, il suo assassinio fu in realtà l’epilogo di una lunga catena di incomprensioni e silenzi da parte di troppi, persino degli intellettuali “schierati”, abituati a esaltare gli eroi di cartapesta e a dimenticare gli umili che lavorano in silenzio. Questa storia si potrebbe definire un caso di forzata solitudine. La solitudine dell’uomo che lotta per i suoi ideali, determinato sino al sacrificio. “L’uomo che sparava dritto”, lo chiamavano i suoi parrocchiani, tanto alieno al compromesso era il suo credo. “Non sono un eroe”, diceva di sé, ben sapendo che per la sua attività era stato condannato a morte. Ai bambini, al tentativo di offrire loro la possibilità di crescere in un mondo migliore, ha dedicato la sua vita don Puglisi, per gli amici e i seguaci soltanto Pino, oggi in cammino verso il processo di beatificazione in quanto martire: citato più volte dal Papa, additato ad esempio da un numero crescente di giovani, credenti e non credenti. Dal suo insegnamento emerge una ineguagliabile lezione d’amore per la giustizia e la non violenza, insieme a un forte messaggio pedagogico.
Ma non sono solo questi i motivi che possono spingere un regista a realizzare un film su una materia tanto incandescente.
C’è, in fondo, il desiderio di portare alla platea più vasta possibile e non solo italiana la conoscenza di una vicenda che ci coinvolge tutti. Per un desiderio forse impossibile di risarcimento abbiamo scelto di raccontarla. Perché raccontare l’impossibile è la forza e insieme la grande sfida del cinema.
Domande per la discussione e la riflessione
Sottotitoli, in italiano, del film
Attività interdisciplinare
- Leggi con i tuoi compagni, guidati dall’insegnante di Italiano, il libro di Luigi Garlando, Per questo mi chiamo Giovanni, ed. BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2012.
- Durante l’ora di Cittadinanza e Costituzione, con i tuoi compagni e l’insegnante, invitate un volontario di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie per un incontro dibattito.
- “Cerca di essere uomo prima di essere gente”. Con l’insegnante di Musica ascoltate e analizzate la canzone di Jovanotti Barabba tratta dall’Album Lorenzo 1994. Riprendete poi il testo con l’insegnante di Lettere e aprite un dibattito. Per ricordare meglio chi fosse Barabba leggi Mt 27,16-26.
Città futura
Venti, sessanta, cento anni, la vita.
A che serve se sbagli direzione.
Se vivere significa essere chiusi nell’egoismo, pensare solo a sé stessi,
non alzare lo sguardo oltre i confini del proprio essere.
Ciò che importa è oltrepassare le frontiere,
per incontrarsi… in quelle terre di nessuno.
Per affermare la dignità, la giustizia…
E non dimenticare che tutti,
ognuno con le proprie possibilità,
anche pagando di prima persona,
siamo i costruttori di un mondo nuovo.
Giuseppe Puglisi
Video
Trailer del film Alla luce del sole
Ricostruzione dell’omicidio di don Pino Puglisi fatta dalla trasmissione “Blu notte – La mattanza” a cura di Carlo Lucarelli.
E’ possibile notare delle significative differenze rispetto al film: ad esempio l’orario dell’agguato (nel film di giorno mentre nella realtà alle 22:00), gli assassini che nella realtà erano soltanto due: Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli
Don Pino Puglisi “Lascia perdere chi ti porta a mala strada“, Rai Uno e Rai Vaticano.
La vicenda umana di don Pino attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto, con lui ha lavorato, collaborato e condiviso il suo “sogno”.
Intervista a Salvatore Grigoli il suo assassino.
Video gallery
Screenshots del film Alla luce del sole.
Testo di Don Luigi Ciotti scritto sul quotidiano Avvenire ad un anno dall’uccisione di Don Pino
La parabola di don Pino
“Entrato nella città di Gerico, Gesù la stava attraversando” (Lc 19, 1).
Gesù percorreva quelle strade attento non soltanto a incontrare la folla che gli era attorno, ma anche chi, a causa della ressa, non riusciva a vederlo: Zaccheo. Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo di don Giuseppe Puglisi ucciso a Palermo esattamente un anno fa, nel giorno del suo compleanno.
Lo hanno ucciso in “strada”. Dove viveva, dove incontrava i “piccoli”, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la “strada” e di esercitare il ministero del parroco è scomodo. Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione.
Ricordare quel momento significa non soltanto “celebrare”, ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l’impegno di don Giuseppe, raccogliere quell’eredità con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umiltà.
Cosa ci ha consegnato don Giuseppe?Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco.
Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la “sua” comunità di fedeli, come comunità di credenti slegata dal contesto storico e geografico in cui è inserita. L’ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada – quella strada che Gesù ha fatto sua – come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e di domande in continua trasformazione. L’ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele. In altre parole, ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia. Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello “stare” nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami.“Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5, 10). Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe è morto: perché con l’ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti.
“Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù…” (Lc 14, 1). Ecco un altro aspetto ricco di significati. Al di là dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni ciò che conta è la capacità di viverli e di praticarli nella quotidianità. Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera. Tre dimensioni, tre consegne e tre aspetti che rendono questa ricorrenza estremamente ricca e significativa. Tre messaggi perché le nostre parrocchie e quanti in esse lavorano possano essere sostenuti con gli strumenti necessari.
Questo testo è apparso dapprima nel quotidiano “Avvenire” il 15 settembre 1994, poi è stato ristampato in Luigi Ciotti , Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, pp. 72-73.
Papa Francesco
Papa Francesco, domenica 26 maggio 2013
Dopo l’Angelus
Cari fratelli e sorelle,
ieri, a Palermo, è stato proclamato Beato Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Io penso a tanti dolori di uomini e donne, anche di bambini, che sono sfruttati da tante mafie, che li sfruttano facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi, con la prostituzione, con tante pressioni sociali. Dietro a questi sfruttamenti, dietro a queste schiavitù, ci sono mafie. Preghiamo il Signore perché converta il cuore di queste persone. Non possono fare questo! Non possono fare di noi, fratelli, schiavi! Dobbiamo pregare il Signore! Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!