Antonio Ariberti

Una chiesa o un regno?

Riscopriamo la Chiesa come il “Popolo di Dio”

Una chiesa o un regno? Puntata della trasmissione «Stento a crederci».

Si tratta di una serie di trasmissioni web, prodotta da Teleradio Cremona – Cittanova  e curata dall’ufficio di Pastorale giovanile  e delle Comunicazioni sociali. Il tema discusso è la chiesa e la difficoltà del mondo giovanile, e non solo, a credere in questa istituzione.

Mi è stato chiesto un intervento di cui riporto il video della trasmissione e il testo nella forma di intervista che ha assunto la puntata.


 Video

https://youtu.be/3V-1BBzswOo


Album

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16-Mar-2013 21:13, NIKON CORPORATION NIKON D3000, 4.5, 19.0mm, 0.013 sec, ISO 1600
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16-Mar-2013 21:02, NIKON CORPORATION NIKON D3000, 5.6, 55.0mm, 0.02 sec, ISO 1600
 
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16-Mar-2013 20:57, NIKON CORPORATION NIKON D3000, 4.0, 26.0mm, 0.017 sec, ISO 1600
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16-Mar-2013 20:56, NIKON CORPORATION NIKON D3000, 5.6, 55.0mm, 0.04 sec, ISO 1600
 

 


 

Per te che senso ha credere ancora nella chiesa?

Anzitutto cerchiamo di capire cosa intendiamo quando parliamo di chiesa. Nel Vangelo di Marco leggiamo

“Li chiamò perché stessero con lui e per mandarli a predicare…” Mc 3,13-19.

La chiesa è una comunità voluta da Gesù, sono persone da Lui chiamate, è un seguire Gesù, mettersi alla sua sequela. È Gesù che prendere l’iniziativa. Normalmente erano i discepoli a scegliersi il rabbi, con Gesù avviene il contrario. Se parliamo di credibilità anche questa prima comunità non brilla: Matteo era un esattore delle tasse (Mc 2,13-17), Simone uno zelota (Luca 6,14-16), la madre di Giacomo e Giovanni raccomanda i suoi figli (Mt 20,20-28), Giuda lo tradisce (Mt 26, 14-16.21-25.47-50; 27,3-10), Pietro lo rinnega (Gv 18,15-18.25-27), eccetto Giovanni (annotazione che troviamo solo nel suo Vangelo Gv 19,26-27), sul Golgota, non vediamo nessuno. Marco nel suo Vangelo ci offre un’interessante simmetria. All’inizio della vita pubblica, come abbiamo appena ricordato, troviamo la scelta dei dodici, quando si apre la scena della passione, quegli amici che si è scelto, lo abbandonano (Mc 14,50). È comunque questa chiesa, quella che noi oggi conosciamo, che nel corso della storia ha custodito, tramandato e consegnato, il Gesù dei Vangeli, la fede in lui. Vengo ora alla domanda. Per me si, per questo motivo, ha ancora senso credere nella chiesa.

Il Concilio su questo tema ha detto molto…

L’immagine usata dal Concilio Vaticano II per parlare di chiesa 1 è “popolo di Dio”. Papa Francesco salutando la gente in piazza S.Pietro appena dopo la sua elezione usa l’espressione “Vescovo e popolo” 2 i quali devono iniziare un cammino insieme. Sabato 16 marzo 2013 all’udienza ai rappresentanti dei media ha ribadito che:

“La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo.”3

Centro di questo popolo di Dio è Gesù Cristo. Se così non fosse allora, la chiesa, si trasformerebbe in un’associazione culturale, sportiva, ricreativa, che magari funziona bene, avrà un grande seguito ma non è chiesa. Questa immagine, popolo di Dio, inoltre, ci aiuta a superare il rischio sempre presente di creare un dualismo: laici/gerarchia. Semplificando, questo rischio, l’esprimo così: “loro ne combinano di tutti i colori, noi siamo buoni e bravi”. La richiesta di credibilità è rivolta a tutti: siamo tutti fragili, limitati, peccatori e ad ognuno è richiesto di essere credibile, non solo credente..

La chiesa può essere ancora credibile?

San Francesco d'Assisi, affresco di Cimabue, basilica di Assisi.
San Francesco d’Assisi, affresco di Cimabue, basilica di Assisi.

La credibilità è richiesta a tutti coloro che fanno parte di questo popolo di Dio, ad ogni soggetto presente nella comunità, a chi ricopre qualsiasi ruolo, perché tutti hanno avuto la consegna di evangelizzare: annunciare-testimoniare Gesù Cristo. Prendiamo ad esempio Francesco d’Assisi. La chiesa del suo tempo non era perfetta, viveva grandi e gravi problemi. Anche al suo tempo, come ai nostri giorni, si sentiva prepotente l’urgenza di un rinnovamento. Non ha aspettato un cambiamento della chiesa per prendere la decisione di impegnarsi. Si è “dato da fare” in prima persona, ha vissuto in modo essenziale e radicale la buona notizia di Gesù e sappiamo tutti quello che è stato e significa tuttora per il popolo di Dio, per ogni credente, anche per chi non crede. Potremmo sintetizzare con uno slogan l’insegnamento del santo d’Assisi: “Se ci credi, allora, essere credibile spetta a te!” Non solo, c’è un popolo di Dio poco pubblicizzato ma che ha vissuto fino in fondo il messaggio radicale di Gesù dedicando tutta la vita: penso a Don Tonino, Don Pugliesi, Pier Giorgio Frassati, Beretta Molla, tanti cristiani che per la loro fede sono perseguitati…

Di chi è la chiesa? Del papa, dei vescovi, vediamo cosa dice la scrittura: Lettera ai Corinzi capitolo 12. Questo è puro idealismo? Da San Paolo ad oggi…

Dicevamo all’inizio della nostra conversazione: “li chiamò a se perché stessero con lui e per mandarli a predicare…Mc 3,13-19” L’invito è ad evangelizzare: annunciare e testimoniare. Chi? La buona notizia, Gesù. Nel testo leggiamo anche “perché stessero con lui”. È necessario ascoltare per annunciare Qualcuno che non siamo noi, per non parlarci addosso. Centrale è l’ascolto della Parola con la P maiuscola. Credo che noi, invece, spesso seppelliamo questa Parola con una montagna di nostre parole. Se non mettiamo al centro questa Parola, questa buona Notizia, rischiamo di propagandare ideologie invece di annunciare Cristo. Il cristiano è portatore di un messaggio che è speranza e nella società in cui viviamo penso ce ne sia un disperato bisogno. Mi piace questa definizione attribuita a S. Agostino.

“La speranza ha due figli bellissimi, lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per le cose come sono e il coraggio per cambiarle”

Sdegno è saper vedere le cose con sano realismo, per quello che sono. Richiede capacità di lettura, non rimanere alla superficie. Ma non basta. Spesso noi invece ci fermiamo a questo livello. È necessario il coraggio per cambiare. Coraggio che è richiesto a ognuno di noi personalmente, non dobbiamo demandare ad altri questo compito: qualcun altro ci dovrà pensare. È una responsabilità che spetta a me (insieme con altri) rispondere a ciò che crea sdegno intorno a me. La credibilità non si improvvisa ma è frutto di un lungo, faticoso e gioioso cammino fatto di scelte quotidiane, di riflessone, di criticità: in una parola formazione. Siamo chiamati come cristiani a

“rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi” (1Pt 3,15).

Per i giovani in diocesi sono attivati diversi percorsi di formazione.

In questa chiesa istituzione balza all’occhio il presentarsi come un’istituzione di potere, ma che tipo di potere è?

Duccio di Buoninsegna, Lavanda dei piedi, la Maestà del Duomo di Siena, 1311.
Duccio di Buoninsegna, Lavanda dei piedi, la Maestà del Duomo di Siena, 1311.

L’unico modo con cui tradurre il termine potere è con la parola servizio. Dio non “tiene” al proprio potere, non è un geloso custode del potere.4 Noi siamo attaccati al potere, gli esempi intorno a noi non mancano – ma nel Vangelo il potere è coniugato con il servizio. I cristiani ricordano e celebrano questo gesto nel giovedì santo: la lavanda dei piedi. Siamo nel cenacolo. Gesù con i suoi amici, i discepoli che aveva chiamato (Mc 3,13-19), celebra la Pasqua ebraica.

“Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un grembiule e se lo cinse alla vita” Gv 13,1-15.

Gesto rivoluzionario che sovvertì i ruoli sociali dell’epoca ma anche i nostri. Che stupì, sconvolse i discepoli. Molti quadri, penso ad esempio a Duccio di Buoninsegna  (riportato qui a fianco), rappresentano molto bene questo stupore, questa incredulità di fronte al gesto che il maestro stava per compiere. È anche la nostra incredulità il nostro stupore. Don Tonino Bello, un profeta del nostro tempo, commentava che l’unico “paramento liturgico” di quella che possiamo considerare la prima Messa di Gesù, è stato appunto il grembiule, e che la Chiesa – e ogni cristiano – per celebrare coerentemente l’Eucaristia, dovrebbe cingersi il grembiule, cioè mettersi nell’atteggiamento del servizio, promuovendolo in sé e intorno a sé. Nel Vangelo leggiamo questa frase sicuramente molto forte: “Siamo servi inutili” (Lc 17,10 ).

Anna, una giovane dell’oratorio di S.Sebastiano (CR) chiede: “Parlando di comunità. A me sembra che ci sia ancora molto clericalismo. C’ è una vocazione più importante delle altre?”

Credo che non si possa impostare il discorso in termini di importanza, ricadremmo nella logica del potere di cui parlavamo prima. Il concilio Vaticano II parlando di chiesa usa l’espressione popolo di Dio nel quale ci sono servizi, ruoli diversi ma fra loro c’è pari dignità (Lumen Gentium 18). Credo si debba rompere il circolo vizioso che lei ha chiamato clericalismo. Sia un clericalismo dall’alto sia dal basso. Non possiamo pensare ai laici come “lunga mano” del prete, semplici esecutori, dove non arriva il sacerdote fanno loro. Nemmeno demandare ai sacerdoti, scaricare su di loro qualsiasi compito e responsabilità. Questo circolo vizioso, come lo ho chiamato, lo potremo superare solo nell’ottica richiamata dal Concilio: ministeri diversi, servizi diversi, ruoli diversi ma con pari dignità.


Note:

1Lumen Gentium, Capitolo II, Il popolo di Dio. Notiamo che questa immagine è usata nel NT 1 Pt 2,9-10, Eb 11,25 .

2http://www.vatican.va/holy_father/francesco/elezione/index_it.htm

3http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2013/march/documents/papa-francesco_20130316_rappresentanti-media_it.html External link

4. Fil 2,6-11; Mc 15,16-20.

5. Lumen Gentium 18. Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza.


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