Genova, ottobre 2010, una serata di sport. In campo due nazionali di calcio, Italia e Serbia, per le qualificazioni all’europeo. Ha inizio il caos con scontri e disordini dentro e fuori dal campo. La partita di calcio, che praticamente non si giocherà, si trasforma sugli spalti e fuori dallo stadio in guerriglia1. Si è increduli di fronte alle immagini che le TV trasmettono. Storie di ordinaria follia? Alcuni ricordi si fanno strada in chi come me ha vissuto il conflitto nei Balcani. Erano i primi anni Novanta. Ancora tifosi, guerriglia urbana, scontri che dagli stadi incendiavano città e paesi interi. La guerra (in)civile che divampa. L’altro, che viveva con me, subisce una metamorfosi, diventa nemico da odiare, da cui difendersi, da combattere. Direte, altri tempi, altra storia. Torniamo a “casa nostra”. Ma chi decide qual è la “nostra casa” con tutte le conseguenze che questa decisione porta con se? È la nostra nazione? La nostra regione? La nostra provincia? La nostra città? Il nostro quartiere? Anche qui la deflagrazione balcanica avrebbe molto da insegnarci e su cui riflettere. Si sa, la storia è maestra di vita, ma gli alunni a cui si rivolge sono distratti, non la vogliono ascoltare.
Cosa accade in “casa nostra”? La cronaca sui quotidiani nazionali riporta episodi di violenza spesso seguiti da indifferenza siano essi omertà nei confronti degli aggressori del tassista milanese2 o il “non vedere” la donna in fin di vita nella metropolitana romana3. Indifferenza, noncuranza, far finta che qualcosa, qualcuno non ci siano. Persone che diventano trasparenti4, assenti dalla scena. Tutto ciò è ancora più doloroso della violenza stessa. È esso stesso violenza. Scrive Francesco Bertolini sul Corriere della Sera:
“L’aumento del disagio, cosi come l’aumento della paura, è legato sempre più alla sensazione di vivere in realtà insostenibili, in «non luoghi», dove il senso di comunità è un concetto che non ha più nessun significato. È questo il punto fondamentale. Essere moderni, o contemporanei, oggi, sempre più spesso significa essere consapevoli dell’incapacità delle nostre città di far fronte ai bisogni di fondo delle persone, bisogni di benessere ambientale, di comunità e di socialità. Una realtà sempre più violenta, intollerante e indifferente è ormai molto più di un rischio.”5
Al di là delle responsabilità di chi si occupa della cosa pubblica, delle istituzioni civili e religiose noi, ciascuno di noi che cosa può fare? Come educare-educarci alla pace in un contesto sociale e culturale abbozzato sopra? Sì, perché la pace comincia da noi, lì dove viviamo, con le persone che incontriamo. Si fa storia nelle scelte quotidiane, concrete, che (solo) apparentemente non sono significative, importanti. Diventano volti, persone e storie nel tessuto sociale che abitiamo. Siamo in grado di creare comunità che siano luoghi di senso ed esprimano appartenenza? Realtà che sappiano dare risposte concrete alla presenza di persone che consideriamo diverse da noi? O sarà forse un caso che si fanno sempre più frequenti gli attacchi contro le diversità in nome e in difesa di una presunta normalità? E poi “chi” o “cosa” è normale, “rispetto a chi” o “che cosa”? Ormai non solo il diverso per cultura, tradizioni, religione è visto come minaccia ma pure chi possiede abilità che si differenziano dalle mie e necessitano di occhi attenti e sensibilità per poter essere percepite e poi accolte6. Don Milani adottò per la sua scuola e per l’educazione dei ragazzi che la frequentavano il motto “I care”, letteralmente “m’importa, ho a cuore” in netta contrapposizione al “me ne frego”, al disinteresse, all’indifferenza, appunto. Educare, e-ducere, condur fuori, non tanto e non prima da chi abbiamo di fronte ma anzitutto da noi stessi, da chi si pone come educatore nei confronti di bambini, ragazzi, giovani. L’educazione a questi valori, a questa sensibilità del “vedere e farsi carico di” non può che partire dagli adulti. Sono loro che lasciano in eredità questo mondo, così come l’hanno costruito ai giovani. Sono loro che devono offrire stili di vita coerenti. Educazione alla pace (ma non solo ovviamente) avrà luogo a partire da chi siamo. I giovani si attendono adulti non solo credenti ma credibili. Se non partiamo da questa assunzione di responsabilità, questo saper o almeno voler “rispondere a”, sarà difficile proporre alcune strade per essere costruttori di pace in quella casa comune che è la famiglia umana7 che parte da chi ho vicino a me ma non può assolutamente negare chi insieme a noi è parte di questa famiglia che è il mondo intero. Di questa casa, che tutti abitiamo, dobbiamo aver consapevolezza. Credo che solo a persone capaci di dare eco nel loro cuore alle “gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini d’oggi”8 potremo proporre di incamminarsi su sentieri di pace, di sognare un mondo così come lo sognava il profeta Isaia nel quale:
“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà.” (Is 11)
Note
1 http://www.corriere.it/sport/10_ottobre_12/italia-serbia-genova-tifosi_9535b11c-d628-11df-a0eb-00144f02aabc.shtml
2 http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/10_ottobre_12/tassista-picchiato-caccia-complici-1703935976096.shtml
3 http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_ottobre_12/donna-aggredita-metro-finisce-coma-1703931880338.shtml?fr=correlati
4 A proposito di indifferenza come non ricordare la famosa poesia “Prima vennero…” del pastore tedesco Martin Niemöller nella quale l’autore stigmatizza l’atteggiamento di apatia nei confronti di ciò che accadeva durante la Germania nazista.
Quando vennero per gli ebrei ed i neri, distolsi gli occhi
Quando vennero per gli scrittori e i pensatori ed i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi
Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi
E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno…»
5 Francesco Bertolini, Corriere della Sera, 18 ottobre. http://archiviostorico.corriere.it/2010/ottobre/18/CITTA_INDIFFERENTE_co_7_101018013.shtml
6 “Classi differenziate per i disabili”. Bufera sul leghista Fontanini. I disabili nella scuola? “Ritardano lo svolgimento dei programmi scolastici, più utile metterli su percorsi differenziati”. Il Piccolo, Trieste, 23 ottobre 2010.
http://ilpiccolo.gelocal.it/dettaglio/scuola-classi-differenziate-per-i-disabili-bufera-sul-leghista-fontanini/2579916
7 Gaudium et spes 73.
8 Gaudium et spes 1.