Affacciandosi al balcone di piazza S. Pietro il 13 marzo 2013 il neoeletto Papa Francesco “contemplò la folla tra la sorpresa e la commozione, la salutò con un cordiale buonasera e chiese umilmente la sua benedizione” (R.Luciani Rivero): quel farsi benedire dal popolo nella sua prima apparizione in pubblico ha radici lontane e non soltanto nella prassi pastorale di Bergoglio Arcivescovo di Buenos Aires. Nella scelta stessa del nome – Francesco – e nella serie di gesti simbolici che si sono succeduti nel tempo abbiamo intuito, forse, lo spessore teologico di questo Papa “venuto dalla fine del mondo”. Così, a distanza di cinque anni e dopo la pubblicazione di esortazioni ed encicliche può essere utile comprendere meglio quali radici teologiche siano alla base di quelle novità. Ci possono fare da guida gli scritti, le interviste, gli interventi in Italia e all’estero di Juan Carlos Scannone, teologo argentino, gesuita, già docente di Bergoglio negli anni della sua formazione e fonte di riferimento per vari contenuti di Evangelii Gaudium e Laudato si’. Nel suo intervento del ’17 presso il Boston College, dal titolo “Agenda inconclusa del Vaticano II”, Padre Scannone ha illustrato come quel Concilio abbia cambiato il paradigma teologico e il metodo pastorale assunti poi dall’Episcopato latinoamericano da Medellìn ’68 ad Aparecida’ 07 (V Assemblea CELAM – Conferenza Episcopale Latinoamericana), dove Bergoglio ha presieduto la Commissione per la redazione del documento definitivo. Si parte dunque da Lumen Gentium e Gaudium et Spes per interpretare il passaggio “dal paradigma a-storico dei documenti preparatori del Concilio ad un paradigma che tiene in maggior considerazione la dimensione personale-soggettiva e il piano storico” nell’esperienza dell’umanità e della Chiesa, con l’esplicitazione del metodo del vedere, giudicare, agire, già proprio della Gioventù Operaia Cristiana del primo Novecento. Nel testo del 2016 “Teología del pueblo y la cultura. Raìces (radici) teològicas de Papa Francisco”, il teologo argentino ripercorre le fasi dello sviluppo di quella che è stata definita per la prima volta “teologia del popolo” da J.L.Segundo, teologo uruguayano scomparso nel ’96. Tra i suoi esponenti più importanti, personalmente conosciuti e stimati dall’attuale Papa, i sacerdoti Lucio Gera e Rafael Tello. Nominato dai vescovi argentini come esperto per i lavori del Vaticano II e della Conferenza di Medellìn, alla morte, nel 2012, Gera è stato sepolto nella cattedrale di Buenos Aires per esplicita volontà di Bergoglio che ne cita lo scritto “Sul mistero del povero” anche in “Gaudete et exsultate (G.E.)”. Tello, consulente dei vescovi argentini dal ’66 al ’73, fu “sospettato, calunniato e castigato” (C.Molari) dall’arcivescovo che precedette Bergoglio alla guida della Diocesi di Buenos Aires. E proprio Bergoglio lo ha celebrato da arcivescovo con le seguenti parole:“ È stato un uomo di Dio, inviato ad aprire strade. Come ogni profeta è stato incompreso da molti nel suo tempo,ma la sua vita è stata un dono di Dio alla nostra Chiesa. Cercò fedelmente strade per la liberazione integrale del nostro popolo e per accompagnare l’azione liberatrice di Dio” (Università Cattolica di Buenos Aires-Facoltà Teologica, ’12). Quali elementi della riflessione teologica e della prassi pastorale proposti da questi “profeti” Bergoglio riconosceva come novità da assumere per l’azione di tutta la Chiesa? L’evangelizzazione a partire dal popolo, la forza liberatrice del Vangelo, la visione del popolo come soggetto della storia, l’assunzione della cultura popolare, l’opzione per la centralità dei poveri, una teologia ed una ecclesiologia “inculturate”. Questi temi, già presenti nel Documento di Pastorale Popolare dell’Episcopato argentino del ’69 (Documento di San Miguel) intendevano dar seguito all’elaborazione teologico-pastorale di Medellìn che aveva reinterpretato la categoria biblica del “popolo di Dio” privilegiata dal Concilio (L.G.cap. II) e sviluppato in senso sociologico e antropologico il concetto di “cultura” esplicitato al n. 53c di Gaudium et Spes. Contenuti che abbiamo ritrovato poi nella prima esortazione di Francesco: “essere Chiesa significa essere Popolo di Dio; “questo Popolo di Dio si incarna nei popoli della
Terra”; “la cultura comprende la totalità della vita di un popolo” (E.G.114-115.) Si procedeva così a cogliere la ricchezza della categoria “popolo”, sostiene Scannone, nelle sue due accezioni di fondo: il popolo-nazione, colto nella sua dimensione storica fondamentale, come depositario delle radici di una cultura propria, impegnato in un progetto di trasformazione della società orientato al bene comune; le classi popolari, i settori sociali impoveriti, i cui interessi coincidono con un progetto storico di giustizia e pace perché vivono oppressi da una situazione di ingiustizia strutturale e di violenza istituzionalizzata avvertita come “tradimento del popolo”. “Sono gli ultimi che preservano meglio la cultura comune e i suoi valori e simboli religiosi” si è riaffermato a Puebla (CELAM,’79), mentre l’esperienza della lettura popolare della Bibbia come prassi delle comunità ecclesiali di base ha confermato il potenziale evangelizzatore della religione del popolo, orientando all’inculturazione ogni teologia ed ecclesiologia. “Il teologo è figlio del suo popolo e incontra le persone, le storie, conosce la tradizione. Le domande del nostro popolo, le sue angustie, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare”, ha affermato il Papa nel videomessaggio per il Congresso Internazionale di Teologia svoltosi a Buenos Aires per il 50° anniversario del Vaticano II. Parole accompagnate da gesti, come nel caso dei tre incontri, a Roma (‘14 e ‘16) e in Bolivia (’15) con i Movimenti Popolari di tutto il mondo, che “odorano di quartieri, di popolo, di lotte”, espressione di quel Dio che si è fatto periferia e chiede di essere riconosciuto nel volto degli esclusi, dei poveri la cui vita è sacra (cfr.G.E.-135;96-103). Anche l’opzione preferenziale per i poveri è categoria teologica,è opzione cristocentrica: significa prendere sul serio ogni povertà come antievangelica, senza ricorrere a idealismi sui poveri o a pauperismi teologali. “Viviamo in Paesi al tempo stesso cristiani e disumani e non possiamo ignorare il problema che questa realtà ci pone. Si scoprì quindi che se i teologi volevano comprendere veramente la fede popolare era necessario percepire come vivevano la loro fede gli oppressi. Invece di insegnare, apprendere, mettersi in ascolto del popolo, incorporarsi al mondo della gente semplice”: così scriveva nell’84 il teologo J.L.Segundo, rileggendo l’esperienza dei movimenti popolari della decade ’70-’80 in America latina. E al n.149 della Laudato si’ si parla appunto di “esperienza di salvezza comunitaria” in riferimento alla
capacità dei poveri di “tessere legami di appartenenza e di convivenza” anche in realtà disumanizzanti come le villas, realtà ben note a Bergoglio che ha promosso e sostenuto l’esperienza dei curas villeros argentini nei quartieri periferici di Buenos Aires. Spazio particolare occupa poi nella “teologia del popolo” l’attenzione alla “pietà popolare”, alla spiritualità dei popoli che “non sono quelli che non capiscono, quelli che non sanno”: la fede si esprime sempre culturalmente, è dono divino e atto umano, perciò culturale, così “la pietà popolare in America Latina è una grandiosa confessione del Dio vivente che agisce nella storia e un canale di trasmissione della fede” (Docum. Aparecida, 264). Il “popolo” dunque come luogo teologico, come depositario dell’”istinto de la fè” (sensus fidei) donatogli da Dio per aiutarlo a discernere ciò che viene realmente da Dio. “Quando desideri sapere quello che crede la Chiesa, vai dal Magistero, ma quando vuoi sapere come crede la Chiesa, vai dal popolo fedele”, considerato infallibile in credendo. Questa la posizione del gesuita Bergoglio nell’82, (Meditaciones para religiosos, San Miguel), ribadita in E.G.111-134. Popolo, cultura- inculturazione, incarnazione e discernimento
sono categorie ricorrenti nei testi del pontefice e ritornano puntualmente nella più recente Esortazione(G.E), dove leggiamo: “Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo di Dio. Il Signore nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo [6] ..la santità del popolo di Dio paziente.., la santità della porta accanto.[7] Anche fuori della Chiesa cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza [9]. Essere santi non significa lustrarsi gli occhi in una presunta estasi [96] Non si tratta solo di realizzare alcune buone azioni, bensì di cercare un cambiamento sociale.. [99]”. Il dato antropologico e teologico della temporalità e della storicità caro alla “teologia del popolo” ci sollecita a riscoprirci popolo di Dio in cammino nella storia: “siate viandanti di fede per incontrare tutti, in mezzo al popolo, tra la gente, da laici” ha raccomandato l‘anno scorso il papa all’A.C. Come sale e lievito in processi in divenire.
Daniela Negri
Daniela Negri
Daniela Negri, già docente di Lettere presso il Liceo scientifico “ASELLI”, volontaria per il MLAL – ONG di VERONA – in progetti di Cooperazione internazionale in America Latina, socia fondatrice della Cooperativa NONSOLONOI e Presidente della stessa dal 1995 al 2005, coordinatrice dei Corsi sulle Economie alternative promossi dalla Cooperativa in città dal 1997 al 2004 , Responsabile del Gruppo Missionario della Parrocchia di S. ABBONDIO, docente di Corsi di lingua e cultura italiana presso l’Associazione Latinoamericana – ALAC – di Cremona .