I luoghi abbandonati, gli oggetti e i sopravvissuti nell’obiettivo di Yuri Dojc. Trovato anche un libro del nonno.
Passeggiando per le strade di Bardejov, in Slovacchia, un edifico lo incuriosisce. È una scuola abbandonata, ma il fotografo slovacco-canadese Yuri Dojc, con la sua inseparabile macchina fotografica, entra. È il 2006, tuttavia sembra che il tempo non sia trascorso: è tutto come un giorno del 1943, quello in cui gli studenti vengono deportati nei campi di concentramento. Dopo più di 60 anni, il fotografo trova ancora sui banchi i libri, così come erano stati lasciati. E poi quaderni corretti, pagelle e, incredibilmente, persino un libro che era appartenuto a suo nonno. Ultimi testimoni di ciò che resta di quella comunità ebraica, Dojc li ritrae in immagini davvero belle; a Roma, per la prima volta in Italia, i suoi scatti sono raccolti nella mostra Last Folio: un viaggio fotografico con Yuri Dojc, fino al 27 gennaio [2014]. Nel percorso, non sono esposti soltanto i libri che Dojc trova nella scuola ebraica: dopo aver scavato nella memoria di quel luogo, parte per un viaggio attraverso la Slovacchia, e lo documenta con i ritratti dei sopravvissuti all’Olocausto e le fotografie delle rovine di scuole, sinagoghe e cimiteri.
Il viaggio.
Nel 1997, al funerale del padre, Dojc incontra un sopravvissuto dell’Olocausto; così decide di fotografare tutti i sopravvissuti slovacchi, prima che fosse troppo tardi. È allora che parte per quel viaggio, durante il quale attraversa l’intero paese, e scatta più di 150 ritratti, annotando storie e volti. Commosso dalla bellezza dei palazzi che visita e degli oggetti che trova, nonostante il loro stato di degrado, li immortala, ma non gli basta: vuole altre testimonianze.
Le tracce.
Per trovarle, segue il percorso indicato da un libro, scritto da suo padre, sul patrimonio ebraico del paese. Così, il progetto prende forma e, finalmente, è completo. Si arricchisce infatti di oggetti messi in salvo da persone che aiutarono gli ebrei slovacchi a salvarsi, spesso loro vicini di casa; e anche delle storie di come questi oggetti furono nascosti. Come il caso di un uomo il quale, avendo saputo che il sindaco della città stava per distruggere la sinagoga e costruire un parcheggio, mise a disposizione la sua casa per custodirvi i libri sottratti al luogo di culto ormai abbandonato. Dopo 30 anni, i libri sono ancora in questa casa.
Il documentario.
Durante il viaggio, Dojc non era da solo: ad accompagnarlo la regista Katya Krausová, che ha girato un film proiettato in mostra, ed ha curato il progetto.
«Yuri ed io abbiamo attraversato borghi e villaggi di tutto il paese», dice Krausová, «incontrando persone e trovando ricordi di vite e frammenti di memorie. Rintracciare le esperienze delle nostre famiglie, e i mondi in cui vissero e morirono, è stato un viaggio estremamente intenso, emotivo, spirituale e profondamente personale».
Il fotografo. Nato in Cecoslovacchia, Dojc giunge in Canada come rifugiato nel 1969. Dopo 40 anni, le sue fotografie si trovano nelle collezioni e nelle gallerie di tutto il mondo, compresa la raccolta permanente della Galleria nazionale del Canada, il Museo nazionale della Slovacchia e la Biblioteca del Congresso a Washington.
«Ognuno di noi cerca di lasciare delle tracce della nostra esistenza, un segno che rimarrà quando non ci saremo più. Ma non è rimasto quasi nulla che ricordi le persone le cui vite sono state stroncate durante l’Olocausto. La fotografia mi permette di costruire un memoriale privato in loro ricordo», dice Dojc.
Curiosità.
Dopo aver fatto tappa alla Cambridge University, al Museum of Jewish Heritage di New York, alla Commissione Europea di Brussel, a Košice (Capitale europea della cultura 2013), la mostra, come giorno di chiusura a Roma, sceglie simbolicamente la Giornata della Memoria. Quest’anno poi, il Canada presiede l’Alleanza internazionale per la Memoria dell’Olocausto, marzo 2013 – marzo 2014.
Fonte: http://www.artemagazine.it/architettura/20106/a-roma-last-folio-lolocausto-in-slovacchia/