La poesia di Paul Celan, Tenebrae, mi pare possa offrire un’occasione di riflessione e uno stimolo a partire da questo versetto del Vangelo Mc 15,33 1, uno dei più drammatici della vita di Gesù di Nazareth che qui riporto nella versione C.E.I.
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.
E’ il preludio alla sua morte. E’ mezzogiorno il momento più luminoso, splendente, con il sole allo zenit e si fa buio, l’opposto. Questo buio non si riferisce tanto ad un evento atmosferico o astronomico 2 ma ha una portata soprattutto teologica. E’ il buio nella vita di una persona che non vede e non sente più la vicinanza di Colui che sempre era stato il suo riferimento. E’ la solitudine di fronte all’evento estremo di un uomo: la morte. Poco dopo infatti sempre il Vangelo di Marco mette in bocca a Gesù con un grido lancinante (“gridò con voce forte”) le parole del Salmo 22 “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Mc 15,34
La poesia di Celan bene riprende queste tenebre e le traspone nella storia del popolo ebraico. Non soltanto la Shoah, 6 milioni di uomini, donne e bambini arrestati, deportati, torturati, uccisi ma XX secoli di persecuzioni in Europa sono state buio e tenebra.3
Paul Celan (Cernăuţi , 23 novembre 1920 – Parigi, 20 aprile 1970) è stato un poeta rumeno ebreo, di madrelingua tedesca, nato nel capoluogo della Bucovina settentrionale, oggi parte dell’Ucraina. Era figlio unico di Leo Antschel-Teitler (1890-1942) e di Fritzi Schrager (1895-1942).
Paul Celan, Tenebrae
Nah sind wir,
Herr, nahe und greifbar.
Gegriffen schon, Herr,
ineinander verkrallt, als wär
der Leib eines jeden von
uns dein Leib, Herr.
Bete, Herr,
bete zu uns,
wir sind nah.
Windschief gingen wir hin,
gingen wir hin, uns zu bücken
nach Mulde und Maar.
Zur Tränke gingen wir, Herr.
Es war Blut, es war,
was du vergossen, Herr.
Es glänzte.
Es warf uns dein Bild in die Augen, Herr.
Augen und Mund stehn so offen und leer, Herr.
Wir haben getrunken, Herr.
Das Blut und das Bild, das im Blut war, Herr.
Bete, Herr.
Wir sind nah.
Tenebrae
Vicini siamo, Signore,
vicini e afferrabili.
Già afferrati, Signore,
intrecciati uno nell’altro, come se
il corpo di ciascuno fosse
il tuo corpo, Signore.
Prega, Signore,
prega noi,
siamo vicini.
Piegati dal vento andammo,
andammo per inchinarci
su conche e cavità.
All’abbeveratoio andammo, Signore.
Era sangue, era ciò
che avevi versato tu, Signore.
Brillava.
E gettava la tua immagine negli occhi nostri, Signore.
Gli occhi e la bocca sono così vuoti, Signore.
Abbiamo bevuto, Signore.
Il sangue e l’immagine che era nel sangue, Signore.
Prega, Signore.
Siamo vicini.
Taduzione di Stefanie Golisch
Paul Celan legge la sua poesia Tenebrae
Paul Celan – Tenebrae realizzazione grafica di Istvan Horkay pubblicata su Vimeo.
Approfondimenti
- http://www.stpauls.it/letture/0711let/0711l123.htm
- Molto è stato scritto su questo testo del 1959. Gli innocenti, condotti al macello, vedono nel sangue l’immagine di Cristo; sangue del Cristo, sangue innocente. Massima prossimità nella morte, segno dell’impotenza di fronte all’orrore che incombe. Ma anche Cristo che si inginocchia, e prega, per rispondere del sangue innocente versato – emblema della cristianità, al cui interno, e nel cui nome, il massacro è stato perpetrato. Che comunque, nel dolore, l’uomo resti vicino, riconoscendo, nella reciproca finitezza, la sola forma possibile di rivolgersi a quel tu, sempre eccedente, verso il quale muove la parola di Celan.
Tuttavia, la questione che Tenebrae solleva, più che teodicale, sembra essere epistemica, poiché concerne i modi stessi della pensabilità e della rappresentabilità del divino, dopo che la Vernichtung ha portato a termine la propria opera – nel cuore del mistero trinitario: nel figlio come condizione trascendentale della finitezza, del male, e principio della redenzione di questi.
Se la sosta ai piedi della croce rivelava l’ordinamento dell’esistenza, il figlio che prega l’uomo non accenna soltanto al vuoto del cielo, ma anche all’inaccettabilità di quel dono che l’esistenza stessa rappresentava; perché, davanti all’annientamento essa non vale niente, nessuno ne è più titolare.
Fonte: Per una logica della Melanconia… Uno e infinito nella poesia di Paul Celan
http://www.afanisi.net/logica.htm
Note:
1. Passi paralleli Mt 27,45-56 ; Lc 23,44-49 ; Gv 19,28-37 ;
2. In Gn 1,2-3 il buio caotico precede la creazione di Dio; Es 10,21-23 il buio di tre giorni sulla terra era una piaga inviata dal Signore; altri testi vetero testamentari parlano del “giorno del Signore” come il giorno del giudizio collegato con tenebre misteriose Is 5,30 ; 13,10; Ger 15,9 ; Sof 1,15 ; Am 8,9-10 ; è immagine del terrore Am 5,18 ; della sventura Sal 23,4 ; della corruzione Sal 88,7 ; della morte Giobbe 10,21; 17,13; . In Matteo le tenebre divengono simbolo della morte, del male, dell’assenza di Dio: Mt 4,16 ; 6,23 ; 8,12 ; 22,13 ; 25,30 .
3. Giovanni Paolo II nella visita alla sinagoga di Roma nel 1986 arrivò a definire gli ebrei i fratelli prediletti, i fratelli maggiori dei cristiani. Incontro con la comunità ebraica nella sinagoga della città di Roma. Discorso di giovanni paolo II, domenica, 13 aprile 1986