Il sogno di Giovanni XXIII che accarezzò e cercò di modellare attraverso il Concilio Vaticano II, quello di una Chiesa povera (non solo di Chiesa per i poveri), di tanto in tanto sembra improvvisamente riemergere, come le sbuffate di un vulcano apparentemente spento, che non riesce più a trattenere la forza prigioniera nelle viscere della terra.
Ci sono dei momenti nei quali i poveri manifestano la loro carica dirompente. Anche la loro sola presenza turba e rimescola le carte…Oggi tocca a loro: sono i Rom, sono i Rumeni, i lavavetri, sono le baraccopoli abitate da immigrati più o meno regolari a mostrare alla Chiesa che questo “Sogno di Dio” non è ancora spento, è lì che aspetta di essere riconosciuto ed accolto.
Ma spetta alla Chiesa, ad ogni singola comunità credente riconoscere che le loro esistenze sono un “luogo teologico”, attraverso il quale Dio viene a noi, si manifesta e ci interpella.
“…All’udire queste parole il Re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.” (Mt.2, 1-3)
Come può manifestarsi la Gloria di Dio in quelle fatiscenti baracche dei Rom in luoghi così degradati”, così fuori dai nostri “luoghi comuni”, lontani dal controllo delle nostre regole civili, così diversi dai fumi dei nostri incensi religiosi?
“ hai compassione di tutti, perché tutto puoi, non guardi ai peccati degli
uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e
nulla disprezzi di quanto hai creato…Signore, amante della vita, poiché il
tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.” (Sap. 11, 23 ss.)
Le nostre spiritualità capiranno che per incontrare oggi il “Dio amante della vita” sono invitate ad abbandonare i nostri confortanti privilegi religiosi e accettare il rischio e lo stupore di “scendere in basso”? In genere questo movimento di discesa lo ammiriamo (da lontano!) nei Missionari che scendono nelle favelas, e nelle bidonville delle metropoli Africane, Latino Americane e Asiatiche, ci stupiamo della presenza di Dio e dei suoi “miracoli”.
Ora questa discesa è appena fuori dei nostri centri abitati, ci è vicina fisicamente ma estranea, la evitiamo frettolosamente: ci è più facile portare la nostra solidarietà o immergerci in qualche lontana bidonville africana, ma non ci accorgiamo dei tuguri sotto casa, anzi manteniamo verso
costoro uno sguardo di disprezzo e di fastidio!
Quanta fatica ad accogliere e riconoscere la stessa presenza misteriosa di un Dio che pianta la sua tenda o la sua baracca proprio lì!Non basta certo portare dei pacco regalo a Natale in qualche accampamento sfuggito alla bramosia di sicurezza e di legalità, per ricuperare qualche spezzone di credibilità alle nostre assopite coscienze o invitare alla mensa del povero (con le telecamere accese!) qualche fortunato superstite alla “guerra dichiarata ai poveri”, per dimostrare che la nostra volontà di accoglienza non è del tutto morta, nonostante tutto!
Anche quest’anno Gesù continuerà a nascere fuori dalle nostre città, come sempre! Perché Dio si manifesta con più nitidezza stando al margine delle nostre civiltà, perché il Dio di Gesù assume sempre e ovunque il punto di vista del mondo dei vinti.
E’ la logica della pietra scartata, la stessa delle Beatitudini, è lo stile di Betlemme e della Croce…Quale accoglienza gli riserveremo? Se la Gloria di Dio è accolta e rivelata proprio da coloro che i vari poteri escludono e mettono fuori, nostro compito non sarà forse quello di andare da costoro con rispetto ed ascolto, per imparare ad accogliere il loro punto di vista: quello dei lavavetri, dei Rom, dei Rumeni, degli immigrati?
p. Agostino Rota Martir, Natale 2007, Campo nomadi di Coltano (PI)