I primi ad arrivare a Cremona in seguito alla chiamata del Visconti furono i tedeschi Moisè da Spira (famiglia in seguito di stampatori che prese il nome di Soncino) e Manuele di Mattatià da Rocchetto, con le rispettive famiglie, che aprirono in città dei banchi di prestito. Nel giro di pochi anni gruppi di ebrei si stabilirono in tutto il Ducato, a Pavia, Voghera, Vigevano e poi Soncino, Lodi, Crema, Casalmaggiore, Orzinuovi e Piadena. Un editto proibiva infatti che si stabilissero nella capitale, a Milano, anche per non urtare più di tanto la sensibilità dell’Arcivescovo della città ambrosiana che mal sopportava, come tutto il clero, la presenza di Giudei sul proprio territorio. Il rapporto tra la chiesa e gli ebrei era infatti cattivo fin dal 313, anno in cui la religione di Cristo era diventata ufficiale in tutto l’Impero Romano.
I romani avevano sempre infatti ignorato il concetto di intolleranza religiosa, ma, dopo l’editto di Milano di Costantino, l’imperatore che sognò il famoso crocifisso prima di una battaglia decisiva, la chiesa, ufficialmente riconosciuta, dimostrò di mal tollerale gli ebrei. Un diverso problema presentava infatti la religione giudaica rispetto a tutti i culti pagani, che vennero istinti nel giro di un paio di secoli. Gli ebrei erano il popolo di Mosè e dell’antico testamento e abolire l’ebraismo voleva dire abolire una radice vitale di tutto il cristianesimo. Per questo venne da subito decisa una linea di trattamento che prevedeva che bisognasse rispettare il popolo ebraico come luce di verità, ma opprimere chi professava questo stesso culto fino a costringerlo alla conversione. Da qui nacque una persecuzione “silenziosa” che vedeva da una parte la Chiesa e dall’altra gli ebrei, molto spesso difesi da potere civile. E proprio con questi presupposti gli ebrei giunsero a Cremona, protetti dal duca di Milano e malvisti dal clero e dalla popolazione umile ad esso legata.
Il patto fra il governante e la comunità ebraica venne sancito dalla condotta che veniva rinnovata a periodi regolari. Gli ebrei erano ammessi in città all’attività di banchieri dietro il pagamento di una tassa ingente da versarsi al Duca a cui inoltre, dovevano prestare denaro a tasso zero e senza limiti temporali di restituzione. In cambio potevano vivere nella città senza obblighi di residenza in un determinato luogo, che non era un ghetto, senza portare alcun “segno”, in particolare un copricapo giallo per gli uomini ed un colletto dello stesso colore per le donne, e potevano esportare i propri beni qualora la condotta venisse improvvisamente ritirata. Fra gli altri privilegi c’era anche quello di avere un proprio cimitero, che a Cremona era dalle parti dell’attuale Via S. Maria in Betlem.
Con queste condizioni i primi nuclei di ebrei arrivarono a Cremona e nel giro di pochi anni la città diventò sede della più grossa comunità ebraica del Ducato arrivando ad ospitare fino a più di Quattrocento ebrei.
Fin dal principio però vennero accolti male dalla popolazione. Con il passare degli anni le tensioni con il clero andavano via via acuendosi, e proprio la Chiesa perseverava nel tentativo di far cacciare la comunità ebraica.